L’uomo che sorrideva: Ezio Pascutti

Ezio Pascutti, calciatore e allenatore di calcio italiano, è venuto a mancare ieri, a Bologna. Qui un ricordo per un giocatore legato da sempre alla città emiliana.

 

Bologna è quella città fortunata che ha avuto nella prima metà del secolo scorso una delle squadre di calcio più forti al mondo, in alcuni periodi, alla fine degli anni trenta, la più forte.

Il secondo dopoguerra è stato ben più avaro. L’ultimo lampo a cavallo degli anni sessanta, quando un gruppo straordinario di giocatori vinse il settimo scudetto, e lo vinse in modo altrettanto straordinario: la vita e la morte, gli intrighi e le ingiustizie,  le accuse di doping, i punti sottratti e poi restituiti. Fino all’epilogo: quella partita di spareggio a Roma contro l’Inter col lutto al braccio per la morte del Presidente Renato Dall’Ara stroncato da un infarto mentre era nello studio del Presidente dell’Inter Moratti, a pochi giorni dalla partita.

Il Bologna vinse 2 a 0 e fu trionfo.

Per una ennesima e crudele ironia del destino, il giocatore che assieme a Bulgarelli era il più amato dai tifosi, il goleador Ezio Pascutti, quella partita – la partita più importante della sua carriera – non la giocò.  Era infortunato.

Ma per tutti, a Bologna, Ezio Pascutti voleva dire una sola cosa: Scudetto.

Dopo 50 anni sotto i portici i nomi di quei giocatori risuonano ancora come quelli di mitici Dei dell’Olimpo: Bulgarelli, Haller, Perani, Nielsen, Fogli, Negri, Janich… e poi c’era lui, Ezio Pascutti. Che tra tutti gli Dei aveva il ruolo più ambito: il Dio del Gol.

Ci sono miti che si riassumono e si immortalano in un’immagine: è stato così per il Che Guevara ritratto da Korda con lo sguardo che si perde lontano, per Coppi e Bartali che si scambiano la bottiglietta d’acqua, per Tommie Smith e John Carlos a pugno chiuso sul podio dei 200 metri a Città del Messico.

È stato così per Ezio Pascutti: 130 gol in sole 13 stagioni, tutte con la maglia del Bologna.

Quasi nessun “cinno” nato negli anni sessanta ha avuto la fortuna di vederlo giocare: Pascutti smise prestissimo, nel ’68/69, ma tutti i “cinni” nati dagli anni sessanta in poi sapevano perfettamente chi era Pascutti.

Perché non c’era bar, circolo arci, polisportiva o bocciofila a Bologna ove non campeggiasse, ben visibile, quella foto memorabile, in bianco e nero: Pascutti e Burgnich perfettamente orizzontali rispetto al terreno di gioco, un abbraccio mortale tra l’attaccante che vuole colpire a tutti i costi di testa quel pallone a 40 centimetri da terra e il difensore che vola assieme a lui nel disperato tentativo di impedirglielo.

Ezio è lì, lo anticipa e colpisce: Gol!

Pascutti era l’essenza del gioco del calcio, quello che non esiste ma che si materializza improvvisamente. Cade un cross in mezzo, un secondo prima Pascutti caracolla quasi assente al limite dell’area, poi improvvisamente riappare: è davanti al portiere, ma come ha fatto? È un mistero: ha scartato il terzino, colpisce di testa, Gol!

E mentre colpisce la palla sorride, Ezio. Perchè sa già come andrà a finire…

A poco a poco i protagonisti di quella mitica squadra salutano e se ne vanno: è l’implacabile legge del tempo, e il 4 gennaio a settantanove anni è toccato anche a Ezio Pascutti.

A Bologna tutti sanno che chi non ha avuto la fortuna di vedere quella squadra vincere lo scudetto oltre cinquant’anni fa, non avrà – in vita – un’altra occasione.

Ma quando i rossoblù entrano al Dall’Ara tutti sperano che tra quei cinni che ogni tanto si portano in panchina ce ne sia uno speciale, uno di quelli che riescono a occupare due posti nello spazio contemporaneamente.

Uno di quelli che te lo sei perso di vista a centrocampo e poi, non si sa come, è li dove deve essere: sbuca dal nulla, si materializza dove prima c’era il vuoto, ed è il punto esatto dove arriva il pallone, salta di testa e… sorride, come Ezio Pascutti.

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