Enrico Mentana, il re dei social che odia i social. Ed è odiato dai guru social

30/08/2016 di Boris Sollazzo

ENRICO MENTANA E IL WEBETE –

Enrico Mentana è sempre in cerca di notizie. Normale per un giornalista e per un direttore di tg. Meno normale è però che, nel mondo della dittatura dei social in particolare, faccia notizia. Facebook lo vive da protagonista – fin troppo, non rinuncia mai a rispondere, in particolare ai critici e ai leoni da tastiera -; Twitter come ricorderete lo ha abbandonato dopo una shitstorm epocale che lo ha disgustato fino a far addormentare il suo account.

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I giorni del terremoto lo hanno visto, come spesso gli capita appunto, di nuovo supercondiviso e incensato sui social. E ovviamente, anche criticato. Dopo la figurona fatta alla conduzione del tg – “no, possiamo anche risparmiarcele le immagini della famiglia morta” -, soprattutto se paragonata alla trasmissione sul terremoto di Vespa, ecco l’esplosione di notorietà per una risposta sull’ennesima bufala mannara (Francesca Spada, di cui ha condiviso un post e sopravvissuta al terremoto, secondo molti “1!111!” non esisterebbe: si ripete la vergogna già avviata sulla Solesin per il Bataclan, per fortuna su una persona ancora viva).
Ogni volta, va detto, il buon Chicco di questa fama social sembra sinceramente stupirsene, tanto che nell’ultimo post sulla sua pagina Facebook, precisa:

Il termine “webete” […] ha avuto, come sapete, una sorta di successo a scoppio ritardato, con tutti gli eccessi del caso, incensatori e di rigetto. Pensatori del web sono andati a cercare se la parola era stata usata, eccetera. Molto se ne è parlato su twitter, dove le parole-chiave sono oro perché tutto deve stare in 140 caratteri. Per me è solo una parola ironica utilizzata in uno scambio che non è più su questa pagina: come il “grufola” che era alla riga precedente. Se è “la parola che twitter attendeva”, ecco un buon motivo in più per stare alla larga da quel social e dalle sue vestali. Voi fatene quel che volete: ma per me “webete” finisce qui

Per lui sì, ma come dice Selvaggia Lucarelli, ormai “webete” vive di vita propria:

No no. È troppo tardi. Io ne apprezzo efficacia e sintesi, quindi da ora in poi chi dice cose a caso sulla mia bacheca per me viene liquidato così, senza ulteriori spiegazioni: #webete

Insomma, ora manca solo il pronunciamento dell’Accademia della Crusca (che ha risposto come al piccolo Matteo del terribile “petaloso”) e avremo il nostro neologismo (che nel 2014 fu usato, maluccio, già da tale Stefano Spolverini). Dovrebbe davvero interessarci il giusto: si è parlato troppo di una bella intuizione.
Ma dopo l’ubriacatura di elogi di ieri, le petizioni, ecco le critiche.

Forse perché ai guru social non può andar bene che sia re dei social uno che fondamentalmente li odia e li disprezza (i guru e i social, separati e insieme): i suoi status sono sempre o quasi editoriali durissimi rivolti all’utente medio e mediocre, che crede a tutto, soprattutto se è gombloddo.
Non poteva mancare quindi l’attacco di Massimo Mantellini. Chi è Mantellini? Se lo chiederanno in tanti: è uno di quei quesiti a cui neanche Quelo saprebbe rispondere, ma in fondo si potrebbe dire anche del sottoscritto. Che non saprebbe rispondere, peraltro.
Ha un blog, pardon un weblog: ManteBlog. Sì, l’acronimo web aiuta il neologismo: una donna matura particolarmente eccentrica e che fa la santona sui social, che so, potrebbe diventare Mamma Webe, se scrivi status poco chiari potresti essere definito webbro. Ma torniamo a Mantellini: quello spazio su internet ce l’ha dal 2002, ha scritto a lungo e bene, in particolare di nuove tecnologie e di nuovi media su diversi giornali (Sole 24 ore ed Espresso per dirne un paio), è un uomo piacente di mezza età a cui non mancano battute brillanti, ma, va detto, nell’elitario e snob twitter ha anche la sua buona dose di livore e moralismo 2.0.
Uno che per arguzia e per la capacità di capire prima di altri le nuove forme di comunicazione si è fatto un nome in quella galassia improbabile e isterica che sono i social e ancora prima tra i blogger.
Fatte le presentazioni e precisato che il sottoscritto non è nessuno probabilmente per parlare di entrambi – e soprattutto non è sospettabile di essere acriticamente pro Mentana (né contro Mantellini, ma lo dico perché quest’ultimo esordisce nel suo post sul suo blog dicendo che non ha nulla controil buon Chicco)-, l’attacco del blogger è piuttosto sconcertante.
Perché è un riassunto di come le terrazze di Scola (ma anche di Sorrentino), i salotti benpensanti e benestanti, si siano ormai trasferiti nella ristretta cerchia dei guru social, twitstar, influencer. Che malsopportano qualcuno che si comporti diversamente da loro – di solito loro non rispondo a tono ma lanciano linciaggi social con eleganza – magari tramite screenshot -, rispondono con sufficienza, bacchettano in 140 caratteri e hanno un bizzarro modo, non di rado fazioso, di intendere il fact checking – pur avendo una grande diversità tra loro. Nel gruppone ci sono i “mascherati”, quelli con pseudonimi che fanno tanto “de sinistra”, e appunto quelli che si intitolano i blog. Sono egocentrici e con una morale ferrea – se da applicare agli altri, hanno regole che decidono se tu sia nel giusto o meno – e non di rado fanno parte e si riconoscono ne “la meglio gioventù” alla Giordana che per questo paese ha fatto pochissimo, vampirizzandolo e infine criticandolo costantemente. E’ il metodo che li unisce, l’unità di luogo (il social) e un considerarsi onniscienti e e sempre con una verità in tasca. La loro, l’unica. In fondo se un salotto fisico poteva riunire Pasolini, Moravia e la Marzotto, perché mai quello del web non dovrebbe farlo?
Mantellini è onesto, va detto. Alla quarta riga già si svela. Parlando di Mentana e di Webete.

Non mi meraviglia nemmeno la sua inadeguatezza digitale, quel senso di fastidio, celato a fatica, nel mescolare le proprie parole a quelle di chiunque altro

Mantellini, seguitelo su Twitter. E’ un monumento a quel senso di fastidio (almeno per chiunque non sia d’accordo con lui), ma il suo ovviamente è fastidio “giusto”. Mantellini si mischia molto meno “con la marea ribollente di legami deboli (e spesso molto violenti) che un account Twitter o un profilo Facebook avvicinano alle persone famose”, di quanto faccia Mentana, che ha il torto di rispondere, con sincerità disarmante e ruvida, a chi lo interpelli. Lui non solo non ha problemi a mischiarsi, ci si tuffa. Con il coraggio e a volte l’arroganza delle proprie convinzioni, certo, ma come se li avesse davanti i suoi contestatori.
Senza netiquette, forse, che è il frasario e il vocabolario politicamente corretto che la social élite si è cucita addosso e di cui, non si sa perché, pretende un rigoroso rispetto. E così quella di Mentana, che è risposta sarcastica e diretta, per Mantellini “è violenta e vergognosa”. Fa un’acrobazia che piace molto ai radical web: gli mette in bocca parole non dette, o meglio modificando la sintassi della risposta, il suo senso e pure decontestualizzando, nel riportarla (pur mettendola in uno screenshot a disposizione dei lettori, va detto).

A un post non offensivo di un utente, non nei confronti di Mentana, ma dell’intelligenza di tutti sì, il direttore del TgLa7 risponde così:

Mi stavo giusto chiedendo giusto se sarebbe spuntato fuori un altro così decerebrato, da pensare e poi scrivere una simile idiozia. Lei pensa che il prossimo le sia simile. Ma non c’è distanza maggiore che tra il virtuale e il virtuoso: eppure per lei se uno non grufola contro gli invasori è un fake. Lei è un webete.

Per Mantellini diventa questo:

Nel giro di poche righe Mentana scrive ad uno sconosciuto che è un idiota, decerebrato, grufoloso e webete

In un attimo la definizione di una risposta, diventa la definizione dell’utente. Una provocazione (quella dell’altro decerebrato che spunta) un attacco personale. Poi il virtuale e il virtuoso, ottimo gioco di parole, prende e confonde anche Mantellini (il “se uno non grufola contro gli invasori”, diventa “grufoloso”: forse il punto è qui, Mantellini vuole superare Chicco e Matteo nella corsa a una nuova parola). Praticamente il contrario.

La seconda riflessione del blogger è giusta. “La violenza della Internet italiana è di tutti, riguarda tutti, colpisce tutti”. Anche lui: seguitelo e scoprirete che i toni pur formalmente eleganti raramente sono dediti al confronto, più spesso a un’egocentrica esposizione di sé come unico depositario della verità. Ma passi, i social sono anche questo. Se la prende con “la ola di colleghi e sconosciuti” a Mentana, Mantellini, perché entusiasti del fatto che reagisca, il direttore “all’idiozia imperante sbottando contro l’imbecille di turno”. Cosa ci sarebbe di sbagliato? Il confronto. I Mantellini e mantelliners amano tenersi su un piedistallo, criticare amici e nemici noti, raramente amano il confronto democratico con tutti. Mentana, la democrazia digitale la attua rispondendo a chiunque attiri la sua attenzione, perché ha tanti difetti, ma non l’essere snob né l’interpretare il suo mestiere come uno sguardo da una torre d’avorio. Lo dice, lo confessa, quando la polemica su webete prosegue, in un altro commento.

Lo spazio protetto, il simposio degli eletti e i tavoli della correttezza politica non mi attirano: se il luogo in cui si discute e ci si confronta con pareri anche duramente diversi è anche questo, io qui sto. E se c’è da darle e prenderle non mi tiro indietro, senza la pretesa di aver sempre ragione

E sarebbero anche d’accordo i due, a quanto pare. Perché il post su ManteBlog si chiude con il fastidio per la reazione a Webete, in questo caso giusto. La reazione dei “vecchi giornali” al commento di Mentana, compiaciuta e furba, è piuttosto grottesca. Mantellini la definisce

un segno dei tempi e di una incultura che continua a considerare Internet un ring per boxer suonati, che considera privilegi, rendite di posizione o gerarchie come normali: noi da una parte e la marea impalpabile degli imbecilli dall’altra. […].

E infine chiede, Mantellini, di mantenere la sorpresa verso le opinioni altrui. “Una palestra d’umilità che consiglierei a tutti”. Ma non a se stesso: Mentana all’opinione altrui è interessato, tanto da rispondere a uno sconosciuto con la propria. Usando i suoi toni – se chiama dei profughi terroristi, quei toni non sono neutri come il Mante prova a sostenere – che può capire il suo interlocutore.

In una parola parla, non pontifica. E così cambia la sacra grammatica dei social. Non quella mutuata dall’opinione pubblica fasciocomunista e radical chic, ma anche ora molto grillina e amatissima dai social – la dicotomia del “o con me mo o contro di me”, riletta nella dittatura del politicamente corretto -, ma quella del “buttiamoci nell’arena”. Muscolare a volte, ma vitale, più interessante, meno autoreferenziale. Certo, va detto, dobbiamo ancora vedere Mentana dare ragione a qualcun altro, questo è vero. Ma almeno su Facebook ha detto di non “avere la pretesa di avere sempre ragione”.

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