Elezioni Roma 2016, Salvini impallina Rita Dalla Chiesa. Centrodestra a rischio sfascio al Campidoglio

11/02/2016 di Alberto Sofia

Per una casella che si riempie, un’altra rischia di far naufragare la coalizione. Nel giorno in cui a Milano Stefano Parisi, l’ex city manager della giunta Albertini, accetta la candidatura in quota centrodestra, lo scoglio della Capitale rischia di rivelarsi fatale per la tenuta dell’asse Forza Italia – Lega – Fratelli d’Italia in vista delle Elezioni 2016. Tutti contro tutti, tra candidati bruciati in meno di 24 ore, vertici saltati, primarie evocate e presunti “alleati” che fanno fatica a fidarsi tra loro. Nessuno vuole rischiare di intestarsi la responsabilità di un eventuale sconfitta al Campidoglio. Dal Berlusconi a Salvini, fino a Giorgia Meloni, il centrodestra gioca in difesa, ma rischia il tracollo a forza di tatticismi.

ELEZIONI ROMA 2016, SALVINI AFFOSSA DALLA CHIESA

Tant’è che pure il nome di Rita Dalla Chiesa, la figlia del generale evocata dalla stessa Meloni e sulla quale si era cercata la convergenza nell’ultimo vertice a Palazzo Grazioli, viene scartata e impallinata. Fino alla rinuncia della diretta interessata: «Ringrazio tutti, ma non accetto». Non che ne avesse grande voglia, il volto tv storico di Forum, che aveva già ammesso di essere da giorni «nel panico». Ma a farla saltare, nell’incrocio dei veti, ci ha pensato l’affondo di Salvini. «Al vertice non verrò, tutto rinviato», aveva avvertito il Cav, stizzito, via telefono. Irritato per come Berlusconi e Meloni avevano gestito la partita e per quel nome spiattellato in modo troppo repentino sui quotidiani. Di fatto, la mossa più semplice per affossare la potenziale candidata. Strategia che in casa Fdi-An non è passata inosservata tra due leader, Salvini e Meloni, che sembrano ormai aver perso qualsiasi feeling: «Ho un candidato, ma il nome non lo faccio. Roma non merita questo balletto. Tornerò a sedermi al tavolo quando ci sarà l’ultimo e definitivo nome per rilanciare questa città. Altrimenti si facciano le primarie», ha incalzato dalla piazza di Montecitorio il segretario federale leghista, al presidio del Sap. «A questo punto contiamoci, nella Capitale siamo quelli che hanno i numeri maggiori», ha replicato Meloni con i suoi fedelissimi, raccontano fonti interne. In stand-by c’è sempre il nome di Fabio Rampelli, braccio destro dell’ex ministro della Gioventù. «Chi? Non scherziamo, per favore», replicano sarcastiche fonti del Carroccio da Palazzo Madama. «A Roma è un disastro. A questo punto andiamo da soli, magari riproponiamo Souad Sbai», c’è chi azzarda dalla Lega.

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ELEZIONI ROMA 2016, L’OMBRA DI MARCHINI

Guerre di posizione. La realtà è che dietro le bizze leghiste c’è un “convitato di pietra”. Quell’Alfio Marchini, l’imprenditore rampante dal “cuore rosso” già in campagna nelle vesti del civico, che per Salvini è tutt’altro che un nome da cestinare, al di là della bocciatura della Meloni. Anche perché, in caso di sconfitta, tutt’altro che identificabile come un candidato leghista. Si sarebbero pure incontrati, Salvini e Marchini, già corteggiato dal Cav (oltre che da settori del Pd) e poi scaricato per qualche dichiarazione sgradita, tra l’ostracismo di parte di Fi. Anche dentro il partito azzurro, però, c’è chi lo considera ancora il candidato più credibile: è la nomenklatura della Forza Italia romana, con il senatore Maurizio Gasparri, il vicepresidente vicario del Parlamento Ue Antonio Tajani e il segretario cittadino Bordoni in prima fila, sponsor da mesi dell’imprenditore. Non a caso arrivati a Palazzo Grazioli per convincere il Cav che la scelta di Dalla Chiesa fosse la meno adatta. Niente di personale, per Gasparri: «Sono amico di Rita, ma il breve balletto sul suo nome non poteva che avere questo esito. Ora sento l’ottima Pivetti dire che le propongono di fare la candidata a sindaco. Finito il carnevale, si smetta il gioco dei nomi di degne persone ma palesemente estranee a una competizione democratica così impegnativa e difficile». Non senza accuse: «Da Fi non abbiamo apprezzato l’eccesso di dilettantismo di troppi». Un affondo da molti interpretato all’indirizzo di Fratelli d’Italia, che continua a porre veti su Marchini.

ELEZIONI ROMA 2016, IL VETO DI FDI SU MARCHINI. E LA COALIZIONE TRABALLA

«Se Giorgia avesse voluto correre, era suo diritto. Ma dato che la sua candidatura non sta in piedi, allora non può continuare a porre veti», insistono da Forza Italia. Ma Meloni non vuol sentirne parlare di Marchini. Tanto da rilanciare pure su quelle primarie prima dimenticate e poi rievocate da Salvini, «soltanto per giochi tattici», spiegano da Fdi. Se vanno fatte, bisogna farlo ovunque, è il messaggio inviato dal quartier generale della Meloni. E non soltanto a Roma: «Chiedo a Berlusconi e a Salvini quando vogliamo vederci per stilare insieme le regole per la celebrazione delle primarie in tutte le principali città italiane», è il messaggio lanciato via Facebook dalla stessa Meloni. Con chiaro intento a sua volta provocatorio, considerato come i gazebo restino uno storico tabù per Berlusconi. Lo stesso che, come in un labirinto senza via d’uscita, aveva pure rievocato quel nome di Bertolaso che si era già sfilato dalla corsa. Meloni resta in attesa: se al Campidoglio il Cav e Salvini puntassero sull’imprenditore «che viene da sinistra», che chi ripensa già alla corsa autonoma, attaccano da Fratelli d’Italia.

ELEZIONI ROMA 2016, MARCHINI SALVAGENTE?

Già alle ultime Regionali, insieme alla Lega, il partito non seguì la convergenza tra Fi e l’ex governatore PD Spacca, con tanto di strappo. Erano altri tempi, la piazza di Bologna con il centrodestra (sulla carta) riunito ancora lontana. Allora il candidato Acquaroli, seppur spinto dal Carroccio, ebbe la meglio nel derby alle urne: terzo contro Spacca quarto. In realtà, persero entrambi. Ora c’è l’ombra del bis, questa volta in salsa romana e in solitaria, con il gregario Rampelli candidato. E con il centrodestra a rischio sfascio al Campidoglio. Sullo sfondo, resta sempre l’ombra di Marchini. Sedotto e più volte abbandonato, alla fine potrebbe essere ancora lui l’ultimo salvagente di un pezzo di centrodestra.

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