Elezioni amministrative 2016: le spine di Matteo Renzi

Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari (e non solo). Avrà un peso simile a quello delle politiche la tornata delle amministrative 2016. Una sfida per Renzi, di fronte all’avanzata – sondaggi alla mano – del M5S e all’Opa salviniana sul centrodestra, con Berlusconi ormai nelle vesti del “gregario”. Il premier è consapevole di giocarsi molto, ma è convinto che il test non sarà uno spartiacque per il suo governo. Nessuna deadline. Perché decisivo sarà, nella mente del premier, il passaggio del referendum sulle riforme costituzionali. Sarà in quel caso che un’eventuale sconfitta sarebbe l’epilogo per Renzi. Perché sarebbe una bocciatura per gli anni e le riforme del suo esecutivo.

Matteo Renzi
ANSA/GIUSEPPE LAMI

RENZI E IL TEST DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2016 –

Certo, le comunali sembrano già una partita in salita per il presidente del Consiglio. Soprattutto per la grana della Capitale, dove – dopo l’affaire  Marino e le dimissioni dei consiglieri Pd con destre e Marchini pur di farlo decadere – il Pd parte in ritardo. Non è un cao che, come spiega “La Repubblica”, il premier stia cercando di ridimensionare la portate delle urne:

«Nessun significato politico, nessun test diretto sul governo o sulla segreteria del partito. Eppure si tratta di un passaggio importante: in primavera è chiamata al voto la “spina dorsale” municipale d’Italia. Le cinque principali città, da nord a sud. E l’incubo dei ballottaggi con il Movimento 5Stelle. «Ma l’osso del collo – ripete il segretario democratico ai suoi fedelissimi – io me lo posso rompere solo al referendum». 

Tra le città al voto i sindaci uscenti non sono targati tutti dem. Anche perché c’è chi, come Pisapia, Zedda e De Magistris (quest’ultimo ha il Pd all’opposizione in Consiglio comunale a Napoli, ndr), viene dalle esperienze arancioni.  Così tutto si complica al Nazareno, considerato come i rapporti con Sel siano ormai al minimo storico. Con il partito di Vendola e Fratoianni ormai pronto a confluire nel nuovo soggetto in cantiere, dopo il lancio del gruppo unitario (senza Civati, almeno per ora) della Sinistra italiana. Ad eccezione (forse) di Milano – dove Sel è ancora in coalizione, in attesa di capire come si comporterà nel caso in cui fosse Sala il leader designato, con o senza primarie – e Cagliari (dove l’uscente è Zedda, Sel, con lista di centrosinistra), altrove la Sinistra presenterà candidati alternativi a quelli del PD. Tradotto, per il Pd sarà ancora più complicato, considerata la corsa in solitaria. O, al massimo, con liste di centristi e transfughi ex di destra.

AMMINISTRATIVE, IL CASO ROMANO –

La questione più delicata resta comunque quella romana, scrive Tito su “Repubblica”:

«La Capitale rappresenta per il Partito democratico la questione più intricata. “Lì  –  ragionano ai piano alti di Largo del Nazareno  –  partiamo battuti. Dobbiamo recuperare”. Molto, ovviamente, dipenderà da chi sarà il candidato del Movimento 5Stelle. Ma alcuni punti fermi sono stati già piantati. Il primo: “Marchini non sarà mai il candidato del PD”.  L’idea lanciata nei giorni scorsi dal ministro della Sanità Lorenzin, dell’Ncd, è stata immediatamente scartata da Palazzo Chigi. “Chi scenderà in campo  –  è il ragionamento  –  deve essere romano, preferibilmente un nostro uomo e deve essere un politico”. Ossia, niente esterni. Né Cantone, né Sabella. Né Gabrielli, né alcuno dei “tecnici” di cui si è parlato.

Tra i possibili candidati c’è il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia, ma il suo nome convince poco. Giachetti non sembra convinto dalla possibile corsa. E sul quotidiano diretto da Ezio Mauro si evoca anche il nome di Laura Boldrini, la presidente della Camera eletta come indipendente nelle liste di Sel. O del governatore del Lazio Nicola Zingaretti, possibile carta per la minoranza Pd al prossimo congresso:

«Un identikit adeguato a fronteggiare i grillini e a ricompattare il fronte sinistro. Ma presenta delle controindicazioni: come spiegare agli elettori che la terza carica dello Stato si dimette per fare il sindaco? E poi: chi prenderebbe il suo posto a Montecitorio? L’attuale ministro delle riforme Maria Elena Boschi o quello dei Beni culturali Dario Franceschini? «Il migliore, in teoria sarebbe Delrio – spiegano ai vertici del Pd – ma non è romano. Il più convincente allora è Nicola Zingaretti. I riflettori stanno puntando proprio sul presidente della Regione Lazio. Il suo ruolo è una forza e nello stesso tempo una debolezza. Se si iscrivesse alla gara, infatti, si dovrebbe cercare un suo sostituto alla Pisana. Di certo, è la convinzione di Renzi, chi sarà candidato dovrà mettere a punto una sorta di «campagna elettorale all’americana: trasporti, nettezza urbana e periferie. Sulla periferia ci si deve impegnare più che sui quartieri centrali. E’ lì che si trovano i voti».

I CASI DI MILANO E NAPOLI E LE ALTRE SFIDE –

A Milano Sala, l’Ad di Expo e possibile candidato nella cornice del Partito della Nazione, ha confermato la sua «disponibilità a candidarsi». Non si dovrebbe rinunciare alla primarie, segnate per il 7 febbraio, nonostante chi spingeva per spostarle al 28 (o revocarle). Ma soprattutto non mancano le distanze all’interno della coalizione sul suo nome. E Napoli? Per il Pd è un’altra incognita. Senza dimenticare la debolezza di Merola a Bologna:

«Cosa succede se si presenta Bassolino?». In Campania le primarie rischiano di confermarsi un caos per il Pd. «Un buco nero». Anche se le previsioni che vengono da Largo del Nazareno fanno quasi tutte riferimento ad un unico punto cardinale: Vincenzo De Luca. Tra i “big” democratici serpeggia infatti la convinzione che alla fine scenderà in campo lui con un suo “campione”. Un timore, ma anche una soluzione. I dubbi sono anche il segno di Bologna. La città rossa rischia di sbiadirsi. Tutti i parlamentari emiliani sono netti: «Con Virginio Merola stavolta andiamo a sbattere». L’attuale sindaco ha rotto a sinistra e dentro il suo partito, il Pd, non convince più. Viene considerato un «sopportato», «debole». Il sostituto di cui si è parlato in queste settimane è l’attuale rettore dell’università, Dionigi. Ma la vera carta segreta su cui Palazzo Chigi vuole scommettere è un’altra: Elisabetta Gualmini, politologa con una certa esperienza amministrativa, è vicepresidente della regione Emilia Romagna e assessore alle Politiche sociali», scrive Tito su Repubblica.

Infine c’è il caso Torino. Fassino dovrebbe aver sciolto le riserve sulla sua candidatura. Ma, anche in questo caso, non mancano i timori. Con il sindaco che ha perso la sponda a sinistra, considerata la candidatura di Airaudo (ex Fiom, Sel). In un eventuale secondo turno contro il M5S, i rischi non mancano. Tradotto, Renzi non potrà farsi da parte. Altrimenti il pericolo è una debacle per il Pd. Potrebbe anche non essere decisiva per far cadere l’esecutivo, come la tornata elettorale che portò alle dimissioni di D’Alema 15 anni fa. Ma, a poca distanza dal referendum, un Pd uscito a pezzi dal voto non sarebbe certo un segnale positivo.

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