Deutsche Bank ed il bond della vergogna

Le banche e i patti fra gentiluomini che regolano un mercato sul cui sfondo si staglia il deus ex machina di tutte le crisi: il governo. Un bancomat sempre disponibile.

Reputazione o profitto immediato? L’equilibrio , quando si parla di banche, è meno scontato di quanto sembri. Nel pieno della crisi finanziaria, in mezzo al clamore affinché il sistema bancario ritorni ad una pratica “da gentiluomini” di un passato largamente immaginario, Deutsche Bank ha scelto la via del risparmio di breve periodo, causando un terremoto nel mercato del debito bancario a lungo termine, pregiudicandone l’equilibrio e precludendo la possibilità di raccolta di capitali privati. D’altronde, perché trattare equamente un investitore, quando c’è il governo da impiegare come Bancomat?

Il 17 Dicembre, Deutsche Bank ha annunciato che non avrebbe richiamato un proprio titolo subordinato Lower Tier 2. Il titolo in questione appartiene ad una categoria particolare di emissioni obbligazionarie, che secondo la definizione di capitale della banca ai fini della vigilanza regolamentare non conta come puro debito, ma in parte come capitale proprio. Il motivo per cui questo avviene è duplice: da un lato, in caso di un ipotetica liquidazione essi verrebbero rimborsati soltanto dopo aver rimborsato tutti gli altri titoli obbligazionari; in aggiunta, a seconda della propria classe di subordinazione, contengono clausole che danno facoltà alla banca di modificare le condizioni del prestito in senso ad essa favorevole nel caso si verificassero alcuni tipi di eventi sfavorevoli dal punto di vista economico: l’emittente può ritardare od eliminare il pagamento della cedola, ad esempio, o posticipare il rimborso del capitale investito. Per la categoria più vicina al capitale azionario, il cosiddetto Tier 1, la banca ha, in caso di difficoltà che portino ad azzerare i dividendi, il diritto di ridurre il capitale nominale, di non aver più l’obbligo di restituire il capitale o di pagare la cedola promessa, se non dopo il ritorno all’utile e prima della distribuzione di dividendi agli azionisti.

Perché un investitore in obbligazioni dovrebbe mai comprare debito con questo profilo di rischio, ma una cedola più simile a quella di una normale obbligazione che ai ritorni attesi da un titolo azionario? Qui sta il trucco. Il mercato dei subordinati si basava su di un “accordo fra gentiluomini”. Pur essendo un titolo Tier1 irredimibile ed un Tier 2 a scadenza molto lunga, in modo da qualificarsi come capitale, nel titolo sono incorporate delle cosiddette opzioni call: l’emittente ha il diritto, ma non l’obbligo, di ripagare il titolo ad una scadenza precedente alla data naturale; nel caso non lo faccia, la cedola aumenta in maniera notevole. Le banche che hanno emesso subordinati hanno sempre implicitamente fatto capire che i loro titoli sarebbero sempre stati richiamati in anticipo, sia che questo fosse conveniente dal punto di vista meramente finanziario, sia che non lo fosse. Il vantaggio per la banca che emette è che ,pur avendo scadenze teoriche molto lunghe, i titoli venivano prezzati come se la data di “call” fosse quella di scadenza, riducendo così drasticamente i costi di raccolta e la liquidità del mercato era tale che ogni banca riteneva semplice poter rifinanziare i subordinati in scadenza. Con la crisi finanziaria, il rendimento richiesto per il rischio subordinato è aumentato in maniera drammatica, a causa dell’aumento di probabilità che i dividendi bancari vengano tagliati e, quindi, le banche potessero penalizzare gli strumenti subordinati ritardando o azzerando il pagamento delle cedole, come già avvenuto in alcune occasioni. Il disincentivo dato dall’aumento cedola in caso di mancato richiamo è di fatto annullato dall’entità della cedola che un nuovo bond dovrebbe pagare; di conseguenza, l’unica cosa rimasta ad evitare un disastro in termini di valutazioni e di incertezza nel rimborso dei titoli è il rischio alla reputazione di un emittente. Per questo motivo, gli istituti in difficoltà o quelli piccoli, che emettono debito subordinato di rado e non avrebbero in questo momento alcuna speranza di collocarlo, non si sono preoccupati della reputazione: il Credito Valtellinese è stato il primo a non richiamare in anticipo un proprio subordinato, causando perdite rilevanti agli investitori che possedevano il bond e contavano sul suo rimborso al nominale nel giro di pochi giorni e non in cinque ulteriori anni.

Si è sempre pensato che le grandi banche, che non sono state tagliate fuori dal mercato dei capitali privati, avessero ancora ogni possibile incentivo a richiamare il proprio debito, in modo da mantenere la fiducia negli investitori. La mossa di Deutsche dimostra che anche le banche maggiori hanno deciso che un risparmio valeva di più della reputazione di fronte agli acquirenti di debito subordinato. E la reputazione ne ha sofferto: numerosi investitori istituzionali hanno messo bene in chiaro l’indignazione per quanto avvenuto e la loro intenzione di non comprarsi un titolo Deutsche Bank – o lavorare con loro – per parecchio tempo.Quanto accaduto ieri potrà quindi sembrare un particolare tecnico, ma ha risvolti potenzialmente disastrosi per gli investitori e per quello che rivela riguardo alla visione del mondo di una delle maggiori banche europee. Perché Deutsche ha preso questa decisione? Probabilmente, per tre motivi. Il primo è che potrebbe aver ritenuto che il mercato sia in uno stato talmente disastroso da non poter assorbire un nuovo bond subordinato, da impiegare per rimpiazzare quello appena scaduto. Il che vorrebbe dire che Deutsche è talmente a corto di capitali da dover eseguire immediatamente una transazione di questo tipo. Il secondo motivo, è che il management di Deutsche ipotizza che la maggior parte delle grandi banche la seguirà in questa scelta, salvando il proprio conto economico a scapito delle convenzioni del mercato e che quindi, fra poco, gli investitori dovranno semplicemente adeguarsi al nuovo standard. I clienti, diceva Peter Cohen di Lehman, hanno la memoria corta.

Il terzo motivo è che le azioni governative sul piano della liquidità e della involuzione contabile hanno reso meno necessario, per i banchieri, il rispetto delle regole di mercato. A chi servono questi irritanti investitori privati, quando il Ministero è pronto a fornire capitale azionario e di debito per decine di miliardi, oppure a permettere di ritoccare le norme contabili per ignorare il declino dei corsi del proprio patrimonio, in cambio di un piccolo inchino? I banchieri sono abituati ad andare a letto con i politici. Il settore bancario è di solito quello maggiormente protetto, regolamentato e di conseguenza politicizzato in una economia, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Pensiamo davvero che il denaro dei contribuenti, regalato da burocrati a banchieri parastatali, verrà impiegato con maggiore attenzione di quello privato ? Questa vicenda è soltanto l’ennesima dimostrazione di quanto sta accadendo, di quanto l’intervento statale abbia prima gonfiato una bolla, iniettando liquidità e permettendo che la regolamentazione delle banche implicasse una garanzia statale; di quanto adesso, nel tentativo di risolvere la crisi derivata dallo scoppio della bolla tramite una dose ancora maggiore di denaro e dirigismo, stia spazzando via i timidi tentativi d’introdurre una seppur minima disciplina di mercato al settore bancario.

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