Daniele Ozzimo condannato, paura nel Pd Roma

Non ci voleva: la condanna a due anni e due mesi di Daniele Ozzimo, nel vasto mondo del Partito Democratico romano, arriva come una tegola su una comunità che è in attesa, immersa in un lavorio incessante per l’individuazione del (dei?) candidati che correranno alle elezioni primarie di marzo. Corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, sentenza sulle spalle di un esponente che, secondo molti, poteva anche finire per essere assolto.

DANIELE OZZIMO CONDANNATO, PAURA NEL PD ROMA

E invece è andata diversamente. Simone Canettieri sul Messaggero nella cronaca di Roma racconta le discussioni che si muovono nel corpo del Pd.

Hai voglia a dire che «le responsabilità penali sono personali», come si sono subito affannati a spiegare i dirigenti dem, ma la condanna di Daniele Ozzimo, ex assessore della giunta Marino e uomo forte della sinistra Pd a Roma, ha fatto scattare il campanello d’allarme al Nazareno. Tornando a ricordare a tutti che il processo Mafia Capitale e la campagna elettorale andranno a braccetto per sei mesi. Con il rischio di indebolire il Pd e il centrosinistra. A favore del M5S (e degli altri movimenti civici come quello di Alfio Marchini) che non a caso ieri ha scatenato sui social una vera e propria controffensiva (risposta al caso camorra scoppiato nel comune grillino di Quarto) con l’hashtag #condannanovoi. Dove per «voi» si intendono quelli del Pd. Nella campagna elettorale dunque irrompe il Mondo di mezzo. «E non finirà qui – commenta un dirigente dem – anche se fino a giugno non ci dovrebbero essere altri riti abbreviati né la sentenza. In compenso ci faranno compagnia le udienze». E usciranno fuori i nomi degli altri amministratori coinvolti (in primis Mirko Coratti e Pierpaolo Pedetti per il Pd ma anche Luca Gramazio e Giordano Tredicine per Forza Italia). E sfileranno in aula i testimoni. A partire dall’ex sindaco Ignazio Marino che con il Pd romano non è mai stato tenero («Volevano solo posti di potere») e che potrebbe ricandidarsi. Tutte queste variabili hanno impensierito la giornata di ieri del Pd alle prese ancora con due scogli: il nome su cui puntare e il perimetro delle alleanze. Per la prima faccenda, quella del candidato, l’idea Roberto Giachetti continua a essere la preferita di Palazzo Chigi. E quindi di Renzi e dei renziani capitolini. Anche se il gruppo legato dei Giovani Turchi continua a essere scettico: «Stiamo lavorando per trovare un nome con il quale si può vincere sul serio», taglia corto un parlamentare romano. Il dibattito dunque è ancora aperto, seppur tenuto lontano dai riflettori per evitare gli schizzi di fango di queste ore. Qualcosa in più potrebbe uscire fuori il prossimo 18 gennaio, giorno della direzione nazionale del partito. In quella occasione il premier-segretario potrebbe tracciare la via o almeno far emergere, anche di carambola, il nome del vicepresidente della Camera, Giachetti appunto. 

 

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Che il quadro giudiziario di Ozzimo non sia dei migliori, comunque, è un fatto.

. All’ex assessore, nominato nella giunta di Ignazio Marino, veniva contestato il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio. Avrebbe stretto un accordo corruttivo con Salvatore Buzzi, ras delle coop e braccio economico della presunta cupola romana, mettendosi a sua disposizione in cambio di un finanziamento per la campagna elettorale e l’assunzione di una disoccupata da lui segnalata. Per la procura infatti aveva presentato una mozione in consiglio comunale per la proroga di appalti del verde pubblico (che riguardava anche una coop di Buzzi); aveva partecipato a una seduta di Giunta in cui si è discusso della situazione dell’allora ad di Ama Giovanni Fiscon (pure lui indagato in Mafia Capitale) e aveva partecipato ai consigli comunali in cui si sono votati i debiti fuori bilancio (da cui l’imprenditore si aspettava di riscuotere fatture arretrate). Ma non solo. Ozzimo rispondeva anche dell’accusa di aver «scambiato» il rinnovo delle proroghe dei servizi gestiti da Buzzi con il salvataggio di una cooperativa edile, la Deposito San Lorenzo. «Un errore giudiziario», hanno commentato i difensori, Luca Petrucci e Danilo Leva: «L’appello scontato». «Una vita distrutta. Ma sono sereno», si è sfogato l’ex assessore.

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