I Chicago Cubs vincono le World Series. E in Italia non sappiamo più raccontare lo sport

CHICAGO CUBS WORLD SERIES

“Wrigley Field è quello con il muro verde sull’out sinistro?”

A chiederlo è Terence Mann, leggendario scrittore ritiratosi che ne L’uomo dei sogni viene rapito sotto la minaccia di un dito da Ray Kinsella per portarlo allo stadio a vedere una partita di baseball. Non è però nel tempio dei Chicago Cubs che si è consumato l’ultimo atto di una storia che andava avanti da 108 anni, ma al Progressive Field di Cleveland, Ohio, la casa degli Indians, che erano andati avanti 3-1 nella serie e hanno avuto più di una volta il colpo del K.O., senza mai riuscire a sfruttarlo. Altro record battuto dai Cubs quest’anno, dato che era dal 1979 che nessuna squadra riusciva a ribaltare la serie finale da un 3 partite a 1 (quell’anno l’impresa la fecero I Pittsburgh Pirates).

Eddie Vedder Bill Murray Bonnie Hunt
Il leader dei Pearl Jam Eddie Vedder, l’attrice Bonnie Hunt e Bill Murray passeggiano sul campo degli Indians dopo il trionfo dei Chicago Cubs

Come per ogni leggenda che si rispetti, poi, non poteva finire con una partita facile. 8-7 al decimo inning, quello supplementare, dopo essersi divorati l’occasione di poter chiudere al nono tranquillamente. Ma questo è il baseball, qualcosa che purtroppo noi non possiamo comprendere neanche alla lontana, perchè troppo impegnati a disquisire di moduli, giocatori esaltati e poi gettati nella polvere nell’arco di due partite, allenatori brocchi buoni per altri campionati, mica quello italiano, il più bello e difficile del mondo. Campionato dove però l’indiscussa dominatrice soffre in Europa contro una squadra media della Ligue 1 francese. È questione di storytelling, di sapere raccontare una storia lunga più di un secolo nel modo giusto, di trasformare in epica anche i momenti bui. Nel 1919 I Chicago White Sox (sempre lì si va a finire) divennero i Black Sox, perché otto giocatori della squadra più forte del mondo decisero di vendere la serie finale per favorire gli scommettitori della mafia ebrea. Scoperti, furono radiati a vita da tutti i campionati. E in quel momento diventarono leggenda, protagonisti di romanzi, film, entrarono a far parte dell’immaginario collettivo di una nazione. L’avevano tradita, ma amavano quello sport. “Lo avrei giocato anche gratis” diceva Shoeless Joe Jackson ne L’uomo dei sogni. Un po’ come Pellè quando è andato in Cina.

Cambiamo città, andiamo a Boston, dai calzini bianchi a quelli rossi dei Red Sox. E parliamo di un altro crimine, quello del secolo, come per molto tempo fu considerato. In quella straordinaria squadra giocava un tal George Herman Ruth, detto Babe. Una forza della natura, uno dei giocatori più forti di tutti I tempi. Nel 1920 fu venduto ai New York Yankees per 125.000 $ (più o meno quanto è costato Higuain alla Juventus). Il proprietario Harry Frazee, impresario teatrale, aveva bisogno di fondi per finanziare un suo spettacolo. Così ebbe iniziò The Curse of the Babe, la maledizione del Bambino. Ci vollero 84 anni ai Red Sox per vincere un altro titolo, ci andarono vicini tante volte, ma non ci riuscirono mai. Nel 1978 persero le World Series proprio contro, guarda un po’, gli Yankees. Arriva il 2004 e finalmente l’incantesimo si spezza, e ancora contro gli Yankees, perché niente avviene per caso. Sotto 3-0 nella finale di division, vincono 4 partite di seguito e poi demoliscono con un secco 4-0 I St. Louis Cardinals nelle finali mondiali. È l’apoteosi. Nella seconda puntata della terza stagione di Lost il mefistofelico Ben, per dimostrare che gli “Altri” avevano contatti con il mondo esterno, mostra le scene della vittoria dei Sox a un incredulo dottor Jack. E addirittura Drew Barrymore produce e interpreta il remake di Febbre a 90, il capolavoro in cui Nick Hornby racconta il suo essere tifoso dell’Arsenal, adattandolo a un analogo fanatico dei Red Sox, interpretato da Jimmy Fallon. In Italia c’è la maledizione del Pipita, ma l’unica cosa ottenuta dai tifosi del Napoli (me compreso) maledicendo il traditor Gonzalo è stata vedere il povero Milik subire un tremendo infortunio. Bisogna saperle raccontare le storie, dicevo, ed è proprio quello che molto tempo manca al giornalismo sportivo in Italia, troppo impegnato a inseguire gossip di calciomercato o di WAGS più o meno eleganti e poco propense a non dire la loro quando il loro povero impomatato compagno o marito non riceve il trattamento che ritengono adeguato. Si possono contare sulle dita di una mano I film sul calcio girato in Italia, nessuno oltretutto che superi la sufficienza. Il cinema sul baseball è invece un genere vero e proprio negli Stati Uniti, con le sue regole e le sue icone, del calibro di Gary Cooper, James Stewart e, naturalmente, Kevin Costner. E parlando di cinema, Michael J. Fox si è congratulato con i Cubs per aver tardato solo di un anno rispetto a quanto predetto in Ritorno al futuro 2.

Michael J. Fox Chicago Cubs M.J. Fox.

MJ e Chicago: due lettere che tornano nella storia di una città che si ubriacherà fino alla prossima primavera pensando a quanto successo il 2 novembre 2016 a Cleveland. E poi basta. Perché come si dice nel baseball “It Happens Every Spring”. Nel calcio invece ad agosto si parla vulcani in eruzione, designazioni arbitrali falsate e scudetti già cuciti sulle maglie. Cerchiamo di ricordarcelo: quando abbiamo smesso di sapere raccontare le storie che fanno sognare una nazione?

Share this article