So cool: il calendario sexy con le casse da morto

16/11/2010 di Pietro Salvato

Belle modelle mezze nude, in atteggiamento più da sadomaso che di contrito dolore, una per ogni mese dell’anno ci ricordano che tutti dobbiamo morire. Meglio, quindi, farlo in modo fashion

Una volta, in tempi di facili quanto inutili eroismi c’era chi cercava “La bella morte”, oggi c’è chi evidentemente la cerca quantomeno “fashion“, alla moda. Sì, perché il commercio sul “caro estinto” sembra assai fiorente nel nostro paese, tanto che non conosce crisi.

FRATELLO RICORDATI CHE DEVI MORIRE –  Le cerimonie costano un’occhio della testa. Ci sono le esequie da approntare, i manifesti funebri con cui avvisare la cittadinanza della propria o altrui dipartita, i fiori, le tasse per l’inumazione o per la cremazione e poi ancora la chiesa, la tomba o l’urna funeraria per le ceneri, persino il vestito, possibilmente di marca cui accingerci all’ultimo viaggio. Infine, agli eredi, spetterà anche la bolletta della “luce” che  assicurerà al nostro cadavere, anche di notte, quella flebile fiammella di speranza in un al di là possibilmente migliore dell’al di qua.

OK, MA ALMENO  SIA UNA COSA FASHION – Come detto le spese sono tante, in particolare negli ultimi anni sta prendendo piede la moda della bara “cool”, si insomma la cassa da morto, quella che a Napoli chiamano il “tavuto“, ormai è diventata un oggetto che potremmo definire da estremo prêt-à-porter. Il suo costo varia in base a molti fattori. Design, qualità, materiali impiegati. Un oggetto che non esitiamo a definire “cool”, tanto che c’è chi ha deciso di abbinare il gusto del macabro alla moda. Sì, perché una ditta romana, la Cofani funebri produttrice del fondamentale attrezzo per l’ultimo viaggio… ha redatto il suo Calendario, con tanto di modelle abbigliate, per lo più in veste dal vago sapore sadomaso. Sì, perché la morte è una sofferenza, ma con una di queste al proprio fianco… insomma, ci si può fare anche un pensierino meno truce. Dodici modelli di bare per dodici mesi dell’anno, con altrettante dodici modelle vestite (si fa per dire) di sole calze a rete, stivali borchiati e aderentissimi perizoma. Tutto rigorosamente nero, ovviamente. Sì, perché il lutto va sempre rispettato anche e più dello stesso defunto, si direbbe.

LA BELLA MORTE – Non c’è più peccato e non c’è più dramma. Cosa ormai risaputa, almeno da quando nell’Amleto il dialogo con il teschio di Yorik, il buffone di corte, fa dimenticare che quel cranio che, oggi offre spunto per le più svariate dissertazioni, dalla politica, alla filosofia fino al calcio, era un uomo; così come gli scheletri che trovi riposti ed esposti  negli ossari di certe chiese e cimiteri, ormai non suggeriscono l’idea della precarietà di ognuno di noi, o dell’espiazione, quanto quella del turismo di massa. In questo quadro di “consumismo da consunzione”, allora ben venga la cassa da morto firmata e ben venga la bella morte immortalata da un calendario con le mutande di pizzo nero e due belle cosce su cui esalare l’ultimo respiro.

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