Perchè la Cina non fa la guerra all’ISIS

ISIS Cina

la Cina è stata finora il Paese meno impegnato nello sforzo bellico contro l’ISIS. L’uccisione di un ostaggio cinese da parte dei boia del sedicente califfato non ha alterato l’ostilità di Pechino verso una strategia militare giudicata controproducente, anche alla luce delle possibile ricadute interne nel lungo conflitto con l’ala terrorista della minoranza uigura.

ISIS FAN JINGHUI

L’unico Paese membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu non visitato da François Hollande nella sua visita diplomatica dopo gli attentati di Parigi è la Cina. L’ISIS ha ucciso poche settimane fa il primo ostaggio cinese rapito in Siria, Fan Jinghui, un assassinio che ha portato il presidente Xi Jinping a dichiarare il terrorismo come il nemico comune di tutti i popoli. Al di là della retorica, l’esecuzione di un suo cittadino da parte dei boia del sedicente califfato islamico non ha alterato la tradizionale ostilità della Cina a interventi militari in Medio Oriente. Una strategia perseguita da diversi decenni, che si basa anche sul giudizio negativo di quanto ottenuto dagli Stati Uniti. Secondo l’esperto Li Guofu, per la leadership comunista è chiaro come gli interventi americani in Siria così come in Iraq siano stati controproducenti. In questi anni la Cina ha stretto una lunga serie di trattati bilaterali con molti Paesi africani e medio-orientali per tutelare i suo interessi economici. L’insediamento di molte grandi aziende cinesi in numerose Nazioni dell’area rende però il terrorismo islamico un tema sempre più urgente anche per la ritrosia di Pechino, come dimostra l’esecuzione di tre manager delle Ferrovie cinesi nell’attentato contro l’hotel di Bamako.

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CINA TERRORISMO ISLAMICO

La Cina ha dato il suo assenso alla risoluzione Onu che definisce l’ISIS come un pericolo senza precedenti per la pace, autorizzando tutti gli Stati a prendere tutte le misure necessarie per contrastarne il terrorismo. La risoluzione del Consiglio di sicurezza copre politicamente più che giuridicamente eventuali iniziative militari, ma la ritrosia di Pechino non sembra mutare. La leadership comunista teme infatti che un’azione contro l’ISIS trasformi i cittadini cinesi in un obiettivo dei terroristi all’estero, un po’ come capita agli statunitensi. Tra Libia e Algeria lavorano quasi 100 mila cinesi, e l’ISIS si potrebbe vendicare su di loro, così come sui 120 milioni di turisti che ogni partono dal più popoloso Paese del mondo per far vacanze all’estero. Inoltre, la Cina ha un rilevante problema di politica interna. All’interno dei suoi confini vivono 20 milioni di musulmani, e da diverso tempo c’è un conflitto con l’ala fondamentalista della minoranza augura. Si stima che circa 300 di loro combattono con l’ISIS in Siria e Iraq, e la Cina tema un’eventuale ricaduta interna di un conflitto con l’organizzazione di al-Baghdadi. ISIS ha dichiarato in passato come l’area dove vivono gli uiguri sia parte del califfato, e la Cina non ha intenzione di trasformare un problema interno in un conflitto internazionale.

Photo credit: MARK RALSTON/AFP/Getty Images

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