Chico Forti e l’ombra del complottismo

18/07/2012 di John B

LE ALTRE ANALOGIE – Le analogie con il complottismo sono confermate dal commento di Sebastiano che sente puzza di bruciato sulla circostanza che il sito di sostegno a Chico Fortirisulta malevolo: “Una cosa c’è da dire però, ho visitato il sito di Chico decine e decine di volte in tutto questo tempo, questa è la prima volta che mi succede una cosa del genere, il sito non era mai stato infetto e infettato ma ora guarda caso contiene malware.. che strano……..”. Sta’ a vedere che l’ho infettato io, il sito di Chico..! O sarà stata la CIA? E arriviamo al 14 luglio, quando ancora lei, Magda Scoppio Ramazzotti,  scrive una mail di “protesta”, condita di insulti e attacchi personali, alla redazione di Giornalettismo. Questa mail, che l’interessata ha pubblicato anche su un blog, rappresenta uno splendido esempio dell’atteggiamento complottista e merita di essere analizzata punto per punto.

Egregio direttore Alessandro Damato, leggiamo con palese stupore un articolo firmato da un certo “John B.” pubblicato dal suo quotidiano in data 9 luglio 2012, sopratitolato “Chico Forti, il caso: come è andata veramente”. Il titolo a seguire fornisce immediatamente il “taglio” del testo: “Chico Forti, il caso e le bugie dei media italiani”, incalzato da un giudizio sommario: “La storia della morte di Dale Pike e la condanna ricevuta dall’italiano nelle prove “dimenticate” dai divulgatori di tesi preconcette”.

Dunque, la lettera non è stata indirizzata all’autore dell’articolo contestato ma al direttore di Giornalettismo. E’ il modus operandi tipico dei complottisti, ad esempio lo ha fatto anche il regista complottista Massimo Mazzucco. Scrivono a quello che a loro modo di vedere dovrebbe essere il “superiore” dell’autore dell’articolo, auspicandone la censura. Un po’ come quando i bambini gridano “adesso lo dico a mamma e papà”. Questo comportamento è indice di un sentimento di negazione dell’altrui diritto a manifestare un’opinione diversa dalla propria.

Abbiamo cercato di trovare delle informazioni riguardo a questo “John B.” e abbiamo scoperto che è “un americano per nascita e un italiano per amore”, è un sostituto commissario presso la squadra mobile di Bari e segretario provinciale del sindacato autonomo di Polizia. Cura anche una rubrica fissa su “Giornalettismo” (Doktor Debunker”) ed è autore di un “Manuale di difesa contro le  balle dei media” intitolato “BUFALE”.

Come volevasi dimostrare. Io non ho mai conosciuto Enrico Forti. Non ho mai partecipato alle indagini. Non ho fatto parte della giuria. Non sono nella condizione di poter attestare o certificare alcunché sulla vicenda. Ho solo evidenziato ciò che chiunque può trovare su Internet allargando la ricerca oltre i siti degli innocentisti. Ma stranamente per la Magda diventa essenziale sapere chi sono, qual è la mia professione, cosa faccio nella vita privata… Se qualcuno vorrà perdere qualche minuto a controllare ciò che scrisse il già citato complottista Mazzucco quando fu pubblicato un articolo nel quale mettevo in discussione la trasparenza di una sua raccolta di fondi, scoprirà che le due mail (tenuto conto dei diversicontesti) sono assolutamente identiche per approccio e metodologia.

Abbiamo anche appreso che il “nickname John B.” è identificabile con John Battista, “uno di cui i giornalisti dovrebbero aver paura”.

Complimenti per l’identificazione! Sarà stata molto difficile, visto che John B. non è un nickname e che sul Web le mie generalità sono facilmente reperibili, curriculum compreso, assieme a tutto ciò che centinaia di complottisti hanno scritto a destra e a manca nel tentativo di screditarmi e di danneggiarmi. C’è chi ha compilato dossier, chi ha cercato le mie fotografie, chi è andato a spulciare i miei interventi nei social network  (talvolta coinvolgendo malcapitati che hanno avuto l’unico torto di avere un nome simile al mio), chi ha cercato di scoprire l’indentità dei miei familiari, chi mi ha affibbiato tutti gli insulti di questo mondo (da balordo a pedofilo passando per tutte le gradazioni), chi ha scritto lettere diffamatorie a ministri e parlamentari, chi ha effettuato analisi statistiche sui miei scritti… Scusate, quindi, se quando mi firmo metto solo l’iniziale del cognome e scusate se ormai sono diventato del tutto insensibile agli insulti e agli attacchi personali. Anzi, mi sorprendo quando non ne vedo.

Questa ultima affermazione è pienamente da noi condivisa, perché bisogna proprio aver paura per lo spazio che è riuscito ad avere all’interno del vostro giornale dove può impunentemente dare esibizione della sua impreparazione, pressapochismo e ignoranza, esprimendo giudizi su un argomento a lui totalmente sconosciuto, andando a pescare informazioni qua e là, mettendo insieme un “pastrocchio” indicibile.

Allora, vediamo. Io ho citato due articoli di giornale (uno è americano ma non ditelo a Claudio Giusti, se no ci rimane male). Poi ho citato la scheda ufficiale del processo estratta dal database del tribunale (che gli innocentisti nemmeno conoscevano… a meno che preferiscano ammettere di aver volontariamente omesso di segnalarla), e infine ho trovato le interviste al padre della vittima, a uno degli investigatori che seguirono il caso e al difensore di Forti. Il grosso problema di questo“pastrocchio” è che presenta una versione dei fatti molto diversa da quella raccontata (e non documentata) sui siti innocentisti. Leggere l’altra campana non dovrebbe essere un problema, per chi ha davvero a cuore la verità. Capisco però di aver fatto qualcosa di molto irritante (a giudicare dalla sfilza di insulti), per chi ha deciso di sposare acriticamente una tesi senza aver mai verificato uno straccio di documentazione (com’è stato rivelato grazie all’inconsapevole aiuto di Antonella Gaiani).

Noi non sappiamo se questa sua iniziativa sia stata dettata dalla volontà di sbugiardare i “media” come hobby personale, oppure perché si erge a paladino in difesa della giustizia del suo Paese natale messo sotto accusa dal “caso Forti”.

VIVRANNO PER SEMPRE CON QUESTO DUBBIO-  Quando uno regala una rosa a una donna, può darsi che abbia voluto manifestarle il proprio affetto o che abbia intenzione di portarsela a letto, ma questo non cambia il fatto che si trattava di una rosa e non di un paio di scarpe. Allo stesso modo, il motivo per cui si è scritto un articolo non cambia di punto ciò che è stato scritto nell’articolo.

Nella prima ipotesi, facendo di tutta un erba un fascio, il sig. “B.” condanna “in toto” la categoria, ergendosi come unico depositario della verità divina. Il signor “B.” non prende neppure in considerazione che i media che si sono occupati del “caso Forti” prima di scrivere un rigo o fare un servizio televisivo si sono ampiamente informati su come si svolsero veramente i fatti, documentandosi minuziosamente prima di occuparsi dell’argomento.

Questo è il punto di vista della Magda. Come abbiano fatto i media a “documentarsi minuziosamente” è un mistero, visto che nemmeno i documenti del processo sono verificabili. Se poi vogliamo proprio parlare di media, anch’io ho citato i media. Solo che quelli che ho citato io raccontano una storia diversa da quella che raccontano gli innocentisti. E in ogni caso i processi non si tengono sui media, ma nelle aule di tribunale.

Cosa che non ha fatto certamente il signor “John B.”, come andremo dimostrando a seguire, limitandosi nella sua ricerca “sugli elementi rintracciabili sul web” dove “si racconta una storia diversa da quella sostenuta dagli innocentisti” e “rendono decisamente più credibile la sentenza spiegando i ripetuti dinieghi della riapertura del caso”. Su quale web il sig. “John B.” abbia fatto la sua ricerca per trovare questi “elementi” non è dato a sapere, altrimenti ci viene il fondato sospetto che non conosca la differenza tra il leggere, il capire e il dire.

E sì che nell’articolo c’erano i link

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