Charlie Hebdo e Ahmed Merabet, «musulmano praticante, morto da eroe»

«È morto da eroe. Un eroe normale». La storia di Ahmed Merabet, 42 anni, ucciso a sangue freddo dai due terroristi che hanno assaltato la redazione di Charlie Hebdo, ha commosso il mondo. Oggi lo ricorda Christophe Crepin, dirigente della polizia di Parigi e suo amico: «Era un poliziotto coscienzioso, discreto, entusiasta del suo lavoro. È stato ucciso come un animale. Ma le bestie sono i suoi assassini». La sorte ha voluto che ci fosse proprio Ahmed quel giorno, su quel marciapiede. Non era di servizio, non doveva essere lì: «È arrivato in bicicletta quando la centrale ha chiesto rinforzi. Di solito non svolgeva compiti di ordine pubblico. Era un poliziotto di quartiere. In boulevard Richard-Lenoir c’è un mercato ortofrutticolo, sorvegliava gli ambulanti, conosceva tutti in zona. Era molto amato». Lui, musulmano, brutalizzato da due fondamentalisti che dicono di credere nello stesso suo dio: «Aveva origini tunisine ma era francese» – racconta il collega a Repubblica – «Era un musulmano praticante. Frequentava la moschea. Per noi della polizia è un orgoglio mostrare che abbiamo agenti di ogni religione». Sul web e soprattutto su Twitter Ahmed è diventato un simbolo positivo della strage parigina. Il suo coraggio, la sua dedizione al lavoro, il suo sacrificio è motivo di fierezza: l’hashtag #JesuisCharlie è diventato presto #JesuisAhmed

 

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Photocredit copertina Mauro Donzelli

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