Il castello acquistato con i soldi della curia: sotto indagine il monsignor Paglia

Un castello venduto a un terzo del suo valore. Con i soldi della curia in quella che procura di Terni individua come un affare con capi di imputazione che vanno dal falso alla truffa, appropriazione indebita, turbata libertà degli incanti e associazione per delinquere.

Tra gli indagati spicca l’ex vescovo della diocesi di Narni, Terni ed Amelia, Vincenzo Paglia, oggi presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Riporta Repubblica in un pezzo a firma di Maria Elena Vicenzi:

Doveva essere una speculazione finanziaria. Comprare sotto costo un castello storico e rivenderlo al suo valore qualche tempo dopo, mettendosi in tasca la differenza. Un affare ottenuto grazie a una serie di reati che vanno dal falso alla truffa, passando per l’appropriazione indebita, la turbata libertà degli incanti e l’associazione per delinquere. Accuse che, a vario titolo, la procura di Terni contesta a dieci indagati, tra i quali anche l’ex vescovo della finanziariamente malandata diocesi di Narni, Terni ed Amelia, Vincenzo Paglia, oggi presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. E poi a una serie di altre persone della diocesi, come il presidente dell’istituto diocesano per il sostentamento del clero, Giampaolo Cianchetta, e il vicario episcopale della diocesi, Francesco De Santis. E, in più, l’ex sindaco di Narni, Stefano Bigaroni.
(…)
Nell’avviso di chiusura indagini che i finanzieri guidati dal generale Giuseppe Bottillo hanno recapitato agli indagati, ci sono diversi episodi che testimoniano come quell’assegnazione fosse fuori legge. Innanzitutto perché il castello fu venduto a circa un terzo del suo valore: acquistato dalla Imi Srl (società comunque vicina alla curia perché l’amministratore era l’economo della diocesi, Paolo Zappelli, e uno dei soci il direttore dell’ufficio tecnico, Luca Galletti) a 1.760.00 euro contro una stima di oltre 5.600.000 e con il denaro della curia. L’obiettivo di questa operazione finanziaria era, ne sono convinti gli investigatori, quello di gestire l’immobile con profitto per qualche anno e di rivenderlo, poi, al suo prezzo di mercato (proposito non realizzato per l’intervento delle indagini) intascandosi una plusvalenza milionaria. Un vantaggio ottenuto anche grazie alla compiacenza del Comune, che era il venditore: non a caso il sindaco dell’epoca è tra gli indagati insieme a una serie di funzionari comunali.

(In copertina RECINOS/AFP/Getty Images)

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