La storia infernale di Andrea, morto a 26 anni di bullismo a Vercelli

Si suicida a 26 anni, per colpa del bullismo (anche su Facebook) che gli aveva reso la vita un inferno. Andrea ha deciso che non poteva andare più avanti. Si è impiccato nella sua casa, a Borgo D’Ale, Vercelli. Riporta Repubblica e Corriere della Sera:

Per un anno non è quasi più uscito di casa. Provava vergogna, dentro di sé credeva di essere diventato lo zimbello del paese. Davanti ai suoi occhi continuava ad avere le immagini di quei video, quelle foto e quella pagina Facebook creata apposta per metterlo in ridicolo. A nulla sono valsi gli sforzi dei genitori. A 26 anni, Andrea Natali ha deciso di farla finita, di sparire per sempre. Si è impiccato nella casa dove viveva con la sua famiglia. Una tragedia dettata dal bullismo e che ha come sfondo un piccolo paesino, Borgo d’Ale, in provincia di Vercelli.
Andrea viene descritto da tutti come un ragazzo estremamente fragile e sensibile. Difficile reggere quel clima, ogni giorno, per tutto quel tempo. Durante i suoi funerali, il padre ha puntato il dito contro quei coetanei che nell’ultimo anno l’avevano preso di mira. A forza di scherzi pesantissimi lo avrebbero portato a una depressione talmente forte da fargli passare la gioia di vivere. Scherzi sempre più pesanti, come chiuderlo in un bidone dell’immondizia, fotografarlo e poi pubblicare l’immagine su Facebook.

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SI SUICIDA A 26 ANNI PER COLPA DEI BULLI: LA DENUNCIA

– La polizia postale, sotto denuncia del ragazzo, aveva chiuso immediatamente la pagina. Ma quegli scatti erano stati visti da tutto il paese.

Non sorrideva praticamente più. «Aveva paura a uscire di casa, lo faceva solo se accompagnato ». Il suo timore più grande? Incrociare lo sguardo dei suoi coetanei, cogliere i loro sorrisetti, finire di nuovo loro vittima. Con una “scorta” si sentiva più al sicuro. «Aveva paura». Ma anche questo alla fine non è bastato. L’altro giorno si è impiccato al secondo piano della casa dove abitava con i genitori.
Adesso sono mamma e papà a chiedere giustizia per lui. «Sappiamo che nessuno potrà restituirci nostro figlio, ma vogliamo capire che cosa è veramente accaduto».

(foto d’archivio STR/AFP/GettyImages)

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