Beppe Grillo e “l’accordo” da 159 milioni di euro

Una sfida da 159 milioni di euro. Ovvero, l’ammontare totale dei rimborsi ai partiti che Beppe Grillo vuole tagliare, Matteo Renzi sarebbe d’accordo mentre Pierluigi Bersani dice “discutiamone”. L’apertura del Corriere della Sera anche oggi sembra dedicata alla ricerca di un accordo di governabilità che ruoti intorno proprio al sindaco di Firenze. La prima pagina del quotidiano è esplicita:

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Nell’articolo a firma di Mariolina Iossa si raccontano i giochi “diplomatici” di ieri:

Grillo, seguito anche da Renzi, che ieri è entrato diretto nella questione proponendo di destinare i soldi alle case popolari, lo vogliono abolire subito. Bersani rilancia la sfida e si dice pronto a discutere sul finanziamento ma vuole parlare con Grillo anche di riforma dei partiti, di democrazia, di trasparenza. «Adesso si può — sono le parole del segretario del Pd a Presadiretta, che trasmetterà oggi per intero il suo intervento — e dico a Grillo ok sul finanziamento, però tu adesso mi spieghi quando facciamo la legge sui partiti, come sono la trasparenza e la partecipazione, come si eleggono gli organismi dirigenti, com’è il codice etico per le candidature».

Il comico genovese ha lanciato un’infografica sui rimborsi elettorali in cui fa il confronto tra il Movimento 5 Stelle, Pd e PdL:

«Italiani aprite gli occhi. Perché la crisi devono pagarla i cittadini?». E sotto: «Eccovi i rimborsi dei partiti più votati: Pd 45.800.000 euro, Pdl 38.000.000 e nessuna intenzione di rinuncia, Movimento 5 Stelle 42.700.000, ma rifiuta il rimborso perché “sono soldi dei cittadini italiani”». Ti sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha una sua idea sui rimborsi. «Se i partiti rinunciassero al finanziamento pubblico e mettessero questi soldi in un fondo per l’edilizia pubblica e le case popolari per le dieci principali città italiane, io credo che daremo risposta a migliaia di famiglie che in questo momento sono fuori». Niente rimborsi, più case popolari. Bersani ne vuole discutere, affrontando tuttavia la questione anche attraverso una legge di riforma dei partiti. Gli altri, dal Pdl a Monti, non ne parlano apertamente ma sollecitati dichiarano di essere pronti ad affrontare la questione.

Le infografiche sui grillini e sui costi della politica di Centimetri:

L’articolo di Enrico Marro ricorda in che modo si è arrivati a questa legge sui rimborsi e quanto attualmente ci costano:

Calcolando tutto in euro (fino al 2001 c’era la lira), si è infatti passati, considerando solai rimborsi per le elezioni politiche, dai 47 milioni di contributi erogati complessivamente ai partiti per le politiche del 1994 agli oltre 50o milioni previsti per le consultazioni del 2008. La spesa a carico dei contribuenti si è insomma decuplicata in 14 anni. Ma soprattutto è aumentato il divario tra il contributo e quanto effettivamente speso. Se nel 1994 a fronte dei 47 milioni incassati le spese documentate erano state di 36 milioni, nel 2o08 il rapporto era di quasi cinque a uno: 503 milioni di rimborsi previsti a fronte di 110 milioni di spese. Un meccanismo illogico e indifendibile. Che gli stessi partiti, senza vergogna, hanno perfezionato negli anni. E così nel 1999 con la legge 157 il contributo viene sganciato dalle spese sostenute e ritorna a tutti gli effetti un finanziamento alimentato da un fondo per le politiche di quasi 500 milioni di curo per la legislatura

E parla della legge approvata alla fine della scorsa legislatura:

Dai previsti 182 milioni incassati nel 2011 sommando le rate dei rimborsi elettorali (politiche, europee, regionali) si passa a 91 milioni dal 2012. n 70% di questi saranno erogazioni ricevute direttamente dallo Stato (63,7 milioni), il 3o% (27,3 milioni) «cofinanziamenti»: in pratica per ogni euro di contributi privati ricevuti da persone fisiche o enti i partiti avranno anche 5o centesimi dallo Stato. Diventa obbligatoria la certificazione dei bilanci; viene istituita una Commissione di controllo formata da 5 magistrati designati dai presidenti della Corte dei Conti, della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato; i conti dei partiti devono essere pubblicati in Internet; sono previste dure sanzioni per chi viola le regole; la soglia oltre la quale le donazioni private devono essere dichiarate scende da 5o mila a 5 mila euro.

Repubblica invece con Francesco Bei ci racconta dei desiderata di Napolitano:

Rientrato dalla Germania, Giorgio Napolitano ha iniziato a ragionare su come uscire dalla palude del risultato elettorale, con le tre forze principali — M5S, Pd e Pdl — quasi impossibili da coalizzare e l’una contro l’altra armate. L’imperativo comunque è riuscire nell’impresa, senza accedere minimamente all’ipotesi di tornare al voto, perché «un governo bisogna farlo».

Un governo che non regga sui veti incrociati, non di minoranza, con una maggioranza vera:

Così, nelle conversazioni di queste ore, il Presidente sta intanto mettendo nero su bianco i (pochi) punti fermi che guideranno la sua azione nella nuova fase che si apre. Intanto c’è da affrontare la questione Bersani. In quell’invito a evitare «premature categoriche determinazioni di parte», rivolto ieri a tutto l’arco politico, Napolitano in realtà ha voluto farsi intendere soprattutto dal Pd e da Grillo. Il monito era indirizzato al leader di M5S per i suoi anatemi contro tutto e tutti. Ma anche a Bersani, per via della direzione di mercoledì prossimo, che rischia di restringere troppo il perimetro d’azione del Quirinale con un voto che vincolerà il Pd su un no assoluto alla collaborazione con Berlusconi.

Solo che c’è un problema. Ovvero che l’unico modo di fare un governo del genere è quello tra Pd e PdL. E questo, la direzione democratica, lo escluderà da mercoledì. Numeri alla mano, non c’è spazio per fare nulla.

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