Bebe Vio ti amo. Per come sei, l’oro e il selfie stick. E grazie, il sogno ce lo regali tu, ogni giorno

06/11/2016 di Boris Sollazzo

BEATRICE BEBE VIO –

Bebe Vio, io ti amo. Approfitto del direttore in trasferta alla Leopolda, per usare a fini privati uno dei maggiori portali news d’Italia. Cara Beatrice, io voglio essere il tuo Dante, io per te scriverei canti su canti, mi butterei all’inferno.

Sì, Bebe, non conosco donne che come te mi abbiano fatto urlare di gioia, piangere di commozione, fremere per l’attesa di vedere una sua impresa, tremare in quegli istanti in cui sta per accadere, sorridere per quella sfrontatezza meravigliosa che ti fa indossare Dior, fotografare con Obama, giocare con il tuo handicap che, tu, come solo i guerrieri sanno fare, hai trasformato in punto di forza. Anzi, in superpotere. E hai capito, come ci ha insegnato Stan Lee, che da grandi poteri derivano grandi responsabilità.

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Bebe, tu sei così giovane, bella, gioiosa, eppure ti porti addosso un peso grande. E no, non parlo di quello che hai da quando hai 11 anni. No, non parlo di quello, ogni volta che ti guardo smetto di pensarci pure io. Parlo di chi ha fatto e sta facendo il tuo stesso viaggio, audace e difficile, e in te trova un riferimento, un esempio. E soprattutto una speranza, un sogno. Anzi no, Bebe, sbaglio ancora. Io ti amo e ti invidio: adoro la tua vita, la tua testa, i tuoi occhi vivaci, quelle labbra che sanno regalare gioia con un sorriso e con un broncio (Dior, dopo quella faccetta su twitter con le due buste in mano, diamine, il vestito potevi lasciarglielo!). Tu il sogno lo regali a tutti. Anche scrivendo un libro e chiamandolo “Mi hanno regalato un sogno”, ma, soprattutto, dandogli come sottotitolo “La scherma, lo spritz e le Paralimpiadi”.

Fai sognare anche più ancora del grande Alex Zanardi, che mi fece ridere fino alle lacrime mostrandomi una foto fatta alla Isokinetic di Bologna, con altri due ragazzi. Uno, come lui, privo degli arti inferiori, l’altro con una gamba amputata. Me la mostrava, non capivo, lui rideva come un pazzo. Lo guardo, con fare interrogativo e pure un po’ imbarazzato, lui esplode e fa “Tre uomini e una gamba!”. Io capii quel giorno la sua grandezza, il motivo per cui ogni volta che passo più di 5 minuti con lui dimentico quell’incidente maledetto.

E io Bebe, ti amo, perché non hai idea di quanto sia sexy la tua intelligenza, la tua voglia di arrivare ovunque, la capacità di rendere irresistibile una protesi. In quel servizio di Vanity Fair in cui hai le gambe accavallate. Ma a mezzo metro da te. Quando parli di “gambe col tacco”. O oggi, che ci dici “mia madre mi ha sempre detto che potevo essere qualsiasi cosa. E allora ho deciso di essere un selfie stick”. O fotografarti con il presidente della più grande superpotenza. Ti avevano detto che non era possibile, ma lo hai fatto lo stesso, perché nel tuo vocabolario, impossibile, semplicemente non c’è.

Sai Bebe, io avevo un amico, un fratello, Luca Svizzeretto. Nessuno avrebbe mai scommesso su di lui, ma lui sapeva chi era, quanto valeva, la potenza dei sogni dentro di sé. Bene, hanno tutti perso quella scommessa. Tutti. Ha vinto lui. Perché se ne fotteva dei pregiudizi dei cosiddetti normali, dei limiti che mettono alle loro vite. Lui sapeva che il suo corpo era un limite – aveva il morbo di Crohn, in forma violenta – solo nei confini che gli avrebbe dato lui. E non se ne dava, semplicemente.
E io mi perdo nelle tue avventure, mi perdo nelle tue conquiste, mi perdo in quell’ironia dissacrante con cui sconfiggi chiunque, ancora più che con i tiri di scherma. Metti a tappeto chi è così vigliacco da insultarti su Facebook, chi ha pensato di te “come andrà avanti?”, chi ti ha guardato con occhi inorriditi, impauriti o, peggio, paternalisti e compassionevoli.

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Cavolo Bebe, tu hai distrutto il concetto di normalità, più di decenni di lotte contro discriminazioni, barriere architettoniche, educazione e formazione. Tu hai riscritto quello di unicità, di bellezza, di forza, di sogno. Tu hai rivoluzionato persino il concetto di donna. A proposito, te l’ho già detto che ti amo?

Sorrido, Beatrice, ai tuoi tweet geniali e continuo ad amarti silenziosamente. Perché fidati, è impossibile non perdere la testa con te. E sapendo che capirai, te lo dico come faresti tu: sempre in gamba, Beatrice, che abbiamo bisogno di te. Sempre. E io con te fuggirei ovunque, ovviamente gambe in spalla. Ma lo spritz, quello, lo porti tu.

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