Perché l’ISIS uccide i bambini come nell’attentato di Manchester

23/05/2017 di Andrea Mollica

L’attentato di Manchester è stato compiuto da un terrorista suicida affiliato all’ISIS, come evidenzia la rivendicazione del gruppo terroristico diffusa attraverso Amaq. Le modalità dell’azione, la bomba fatta esplodere in mezzo alla folla, il luogo scelto, una sala da concerto come quella del Bataclan di Parigi, e anche la data, anniversario dell’uccisione di un soldato britannico da parte di due islamisti, avevano evidenziato una matrice terroristica per la strage della Manchester Arena. All’interno del palazzetto c’erano molti bambini, e diversi giovanissimi sono purtroppo morti. Anche i bambini sono diventati un obiettivo esplicito di un attentatore, visto che il pubblico di una popstar come Ariana Grande è prevalentemente concentrato nelle fasce d’età molto giovani della popolazione. Si tratta della prima azione esplicitamente rivolta contro i giovanissimi, dopo il massacro di un pubblico più adulto compiuto al concerto degli Eagles of Death Metal. Abitualmente i terroristi risparmiano i bambini, cercando di colpire uomini adulti come obiettivo prevalente delle loro azioni. ISIS agisce però diversamente, anche in ragione della maggior crudeltà che da sempre caratterizza l’organizzazione terroristica fondata in Iraq, con un altro nome, da al-Zarqawi.

ATTENTATO MANCHESTER, ISIS UCCIDE I BAMBINI COME SPIEGATO SU RUMIYAH

Un articolo della rivista Rumiyah, che significa Roma, aveva spiegato a inizio gennaio, nel suo quinto numero, in un articolo intitolato Carneficina collaterale, perché fosse giusto uccidere anche gli innocenti.«Non c’è disaccordo tra i musulmani sul fatto che le donne debbano essere uccise per crimini quali omicidio e adulterio. Allo stesso modo, sia le donne che i bambini che combattono contro i musulmani sono esentati dal divieto del profeta. Cioè, uccidere le donne e i bambini che partecipano alla guerra contro i musulmani non è proibito, ma al contrario necessario». Per confermare questa opinione, assolutamente minoritaria nella comunità islamica, la rivista Rumihay, da tempo ormai punto di riferimento di molti miliziani dell’ISIS, cita alcuni passaggi di Abdallah al-Battal, un comandante dell’esercito del califfato omayyade dell’ottavo secolo dopo Cristo.

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