Il villaggio dipinto dentro Roma

“Qui si vive in armonia” lo sa bene un signore di 60 anni, peruviano. Ha gli occhi di un grigio che ora non esiste più nel palazzo che lo circonda. Azzurro, rosa, viola. Sono questi alcuni dei colori che popolano la facciata del Palazzo della Marina in via del Porto Fluviale, a Roma. Lo stabile è occupato dal 2003 da famiglie in emergenza abitativa. Mamme, ragazzini, anziani. Tutti in attesa di un alloggio popolare che non arriva mai nella Capitale. Lui sta seduto poco dopo l’ingresso, bastone alla mano, come un nonno. Non parla molto bene l’italiano, preferisce raccontare la sua storia in spagnolo. “Siamo arrivati qui, quando non c’era nulla, neanche la luce e l’acqua”.

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UNA CONCHIGLIA PER CASA – Il suo racconto inizia come una fiaba. Dieci anni fa erano almeno 100 le famiglie che hanno preso parte all’occupazione del Palazzo della Marina. Ora sono solo 85. Italiani, egiziani, ecuadoriani e tanti altri. Tutti sotto lo stesso tetto. “Ochenta y cinco” ripete scandendo bene le parole. Il signore conosce bene il passato della sua “casa”. Sembra averla costruita lui. “Questo punto, durante la seconda guerra mondiale, era fondamentale. Era una caserma militare, è ancora di proprietà della Marina” spiega, mentre segue con lo sguardo due bambini che giocano nel piazzale. In effetti il mare si respira fin da subito. Il cancello del Palazzo è aperto ed introduce a un corridoio dipinto di blu. Sul lato una mappa. Sembra Atlantide ma è Roma, ogni conchiglia è una realtà occupata: Garbatella, Spinaceto, La Rustica. Sotto, come in una legenda, i gruppi che curano e assistono le famiglie in difficoltà e le cifre “del recupero”. Qui, a due passi dalla stazione Piramide, c’è il Coordinamento Cittadino di lotta per la casa, movimento autorganizzato.

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MUTUO AIUTO – Il Palazzo è come un piccolo villaggio. Gli appartamenti sono sui 45 metri quadri circa, variano a seconda del nucleo familiare. C’è la ciclofficina, il laboratorio orafo, i turni per curare gli spazi comuni. La sala del thè per esempio è uno spazio dove spesso si organizzano incontri e dibattiti culturali aperti a tutti. Esiste perfino una sala per riunioni dove il “condominio” si becca tutto unito una volta a settimana. I capi assemblea girano a turnazione. La porta è aperta a tutti. In questo momento c’è un gruppo di artisti di strada che fanno tappa a salutarli una volta l’anno. “Qui – spiega l’anziano – ci sono regole da rispettare. Chi non lo fa è fuori. Per esempio chi ruba, chi picchia la moglie va via”. All’inizio c’è voluto un po’ di rodaggio, poi col passare degli anni si vive in perfetta armonia. Anche col vicinato. “D’estate – racconta – spesso molte persone, che non vivono qui, portano i bimbi per farli giocare nel piazzale. Alla fine questo è uno spazio comune che manca per i più piccoli dei dintorni. E quando giocano, noi ci preoccupiamo di chiudere il portone. Non si sa mai, sono in tanti, può esser pericoloso, qualcuno può scappare in strada”. Lui di figli ne ha quattro. E’ qui con sua moglie e la sua famiglia dal 2000. Soffre di problemi di salute ai reni. Ma racconta: “C’è sempre qualcuno che si preoccupa di portarmi all’ospedale”.

VEDO BLU – Via del Porto Fluviale è tornata alle cronache locali per via della sua facciata. Stando a quanto riporta Repubblica Roma lo stabile non è in ottime condizioni, cadono pezzi di cornicione, l’acqua e la luce sarebbero ancora a spese della Aeronautica militare. Oltre alle polemiche, secondo quanto riporta il quotidiano, sarebbero arrivate decine di segnalazioni dei residenti allarmati per un uomo appeso intento a dipingere lungo i cornicioni. Il personaggio in questione è in realtà Blu, uno dei più influenti street artist in circolazione. Italiano, ha iniziato da Bologna, per poi lasciare le sue tracce in diverse zone del mondo dal centro America alla Palestina, dalla Spagna a Praga. In quest’ultima città ha realizzato “The Gaza Strip”, dove carri armati e bulldozer si rincorrono senza sosta lungo il nastro di Moebius. Le sue opere, a suon di rullo e vernici a tempera occupano spazi enormi, popolati da umanoidi, a volte con toni drammatici. Surreale, che spesso sfocia nella denuncia delle sue creazioni, basate sempre sull’ottica della condivisione. Per questo sfugge spesso alle gallerie d’arte. Meglio la strada. Solo la Tate Modern è riuscita a braccarlo con alcuni suoi colleghi. Il prezzo? Avere carta bianca per poter dipingere le pareti del museo stesso. “Oggi non c’è – precisa il signore – non sarà passato per via dell’articolo. Stamane non si è fatto vedere. Però tornerà, sì. Son sicuro. Gli abbiamo chiesto noi di poter dipingere”. Spesso diversi vigli allertati da alcuni abitanti hanno provato a far scendere l’artista svariate volte da quella parte. Lui però torna puntualmente. Perché l’opera “va finita”.

UN MIO LEONARDO – Secondo quanto dichiara Mauro Cordova, presidente dell’Associazione romana vigili urbani lo stabile è pericolante e continua nell’illegalità. Di altro pensiero è il Coordinamento stesso, che invece ha di recente proposto a Regione e Demanio, oltre al permanere degli alloggi, uno spazio biblioteca e un punto di ritrovo all’interno del quartiere. Nel clima degli sgomberi dell’ultimo “tsunami tour” (occupazioni nella Capitale ndr) anche qui a Ostiense sono in tanti a preoccuparsi. Qualche residente si avvicina all’articolo appeso in bacheca. Lo legge. Spera di non ripiombare nel buio della strada. Non ora che ha dipinto la “sua” casa, l’ha sistemata e ci vive da oramai dieci anni. Chiedo al signore se si rende conto di vivere dentro una opera artistica? “Sa, io in Perù avevo l’Ultima cena di Leonardo appesa alla parete. Pensavo di avere il quadro del museo. Solo dopo ho scoperto che era un dipinto sul muro. Ed era molto più grande di quello che avevo io riprodotto a casa”. “Vede – sorride – anche questa è arte. Ora ho il mio “Leonardo” in Italia. Come quello che ho lasciato in Perù”.

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