Il Cesio 137 che spaventa la Lombardia

18/05/2013 di Maghdi Abo Abia

E’ possibile che la Lombardia possa preoccuparsi di un incidente nucleare avvenuto nel 1989 le cui conseguenze si sono probabilmente protratte fino ai giorni nostri? Probabilmente si, visto che stiamo parlando di una fuga causata da una fatalità che avrebbe potuto mettere in pericolo buona parte della regione.

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IL CASO DI ROVELLO PORRO – Siamo a Rovello Porro, in provincia di Como, a poca distanza dal confine con Milano. Come ci spiega Progetto Humus, che riporta un comunicato dell’Aipri, associazione italiana protezione raggi ionizzanti, tutto è partito da alcuni rottami radioattivi finiti in una fonderia. I rilevamenti condotti periodicamente nel Po, nei pressi della centrale nucleare di Caorso, in provincia di Piacenza, registrarono una presenza di sostanze radioattive provenienti dal torrente Lura fino ad arrivare alla Luigi Premoli & Figli -azienda la cui assenza di responsabilità venne confermata dalla magistratura-. Qui venne inavvertitamente fusa una partita di alluminio proveniente dall’Est Europa contenente una sorgente radioattiva stimata tra i 600 ed i 6000 Curie di cesio 137.

LE ANALISI – La fusione portò ad un’immissione nell’aria di particelle radioattive senza che scattasse nessun allarme. Come detto l’incidente, secondo i documenti dell’epoca, venne individuato durante un controllo radiologico di routine delle acque del Po nel 1989. La presenza di Cesio 137 nell’ordine di 10 Curie nelle acque portò i tecnici ad analizzare la “fuga” con i geologi e gli esperti del Presidio multizonale di igiene e prevenzione che risalirono il percorso della figua con i contatori Geiger arrivando al bacino di decantazione delle acque reflue della fonderia di Rovello Porro, cento chilometri più in alto rispetto alla prima rilevazione.  I valori furono impressionanti. Nel Torrente Lura e nel fiume Lambro vennero trovati 50 Curie di Cesio 137.

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SI MUOVE LA POLITICA – La fonderia venne chiusa per un anno e bonificata. Come aggiunge La Provincia di Como vennero rimossi fino a 40 centimetri di profondità di asfalto e terra interna all’azienda con gli operai che vennero sottoposti a controlli medici. Nel 2011 il comune di Rovello Porro annunciò l’intenzione d’istituire un tavolo tecnico per fare il punto sui 30 bidoni nel quale venne sistemato, nel 1990, il materiale ferroso contaminato. L’obiettivo era quello di smaltire definitivamente il materiale cercando di fare presto visto che dal momento dell’emergenza erano passati ormai 21 anni. Sempre la Provincia di Como riporta le lamentele degli ambientalisti -e siamo nel 2011- i quali chiedevano lo smaltimento di rifiuti più pericolosi di quanto non sembrassero.

I TIMORI DEGLI AMBIENTALISTI – L’ambientalista Vittorio Lovera, già consigliere comunale a Saronno, si definì convinto che il materiale provenisse addirittura da Chernobyl. “Quella vicenda me la ricordo bene. Assieme a Marco Bersani, come me impegnato nel movimento ecologista, ed all’ingegnere nucleare Dede Busnelli, avevamo preparato un dossier veramente molto preciso risalendo all’originale del materiale ferroso in questione che, secondo noi, proveniva da Chernobyl dove quattro anni prima si era registrato il ben noto incidente nucleare, ed era poi arrivato in Italia, tramite una società svizzera ed un’altra azienda di Brescia; da quel che ci risulta, la destinazione finale era l’Alfa Romeo e, in particolare, gli chassis della 164. Il nostro dossier era stato utilizzato dall’allora senatore dei Verdi Emilio Molinari, per presentare in Parlamento una formale richiesta di controlli sui materiali in entrata nelle aziende. Sulla questione del cesio rovellese è poi purtroppo calato un silenzio di tomba e penso sia quindi oggi più che mai necessario fare chiarezza su che fine hanno fatto quei trenta bidoni”.

LA RISPOSTA DI ARPA LOMBARDIA – I trenta bidoni a quanto pare sono ancora all’interno dell’azienda. Il Corriere di Como riporta le parole di Giuseppe Sgorbati, direttore tecnico scientifico di Arpa Lombardia secondo il quale “Il materiale conservato nel deposito della Premoli, a Rovello Porro, sarà messo in sicurezza entro la fine dell’anno, anche se rimarrà in loco fino all’individuazione di un sito nazionale idoneo al ritiro definitivo di questi rifiuti”. Quindi è ancora lì, visto che la dichiarazione è stata riportata il 4 aprile 2013. Ma Sgorbati ha voluto rassicurare tutti: “I controlli costanti effettuati all’esterno del capannone – prosegue – dimostrano che non c’è alcun rischio per la salute, né alcuna contaminazione”.

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TUTTO SOTTO CONTROLLO. MA… – Sarà. Ma l’allarme lanciato pochi giorni prima da Massimo Bonfatti, referente di Mondo in Cammino e dal professor Paolo Scampa, responsabile Aipri, racconta una storia diversa. I due hanno parlato di “Chernobyl italiana” e di una situazione “grave ed allarmante”, nonché sottovalutata a lungo. L’Arpa dice di avere la situazione sotto controllo, anche se il materiale non può essere spostato dall’azienda per via della mancanza sul territorio italiano di un luogo idoneo dove poterlo depositare. “I costi per portare all’estero i rifiuti -ha continuato Sgorbati- sarebbero esorbitanti e il materiale, sistemato in contenitori già idonei anche per il trasporto, rimarrà poi nel magazzino in attesa che l’Italia individui un sito idoneo allo stoccaggio”.

VALORI AL DI SOPRA DELLA LEGGE – I due ricercatori hanno sottolineato che il materiale sbancato nel 1990 venne portato alla discarica nucleare di Capriano del Colle, in provincia di Brescia, dove sono raccolti 39 Curie di Cesio 137 dispersi in 280 mila metri cubi di materiali corrispondenti ai residui radioattivi di varie industrie. Tenendo conto dei 50 Curie depositati nei corsi d’acqua dalla fabbrica al Po (100 chilometri) si può pensare ad un deposito uniforme di 1,22 milioni di Becquerel al metro quadro pari a 32,89 Curie per kilometro quadrato di Cesio 137, una soglia che supera di 2,19 volte la norma internazionale di 15 Curie per chilometro quadrato. Secondo Bonfatti e Scampa all’epoca la zona doveva essere confinata come proibita con tanto di divieto di pesca e di pompaggio agricolo delle acque. Ma nessuno disse nulla.

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NESSUNO FECE NULLA – A 24 anni di distanza, sebbene l’attività radioattiva si sia ridotta del 42%, la contaminazione atomica risulta ancora di circa 700.000 Becquerel/mq e quindi, a tutt’oggi, 1,26 volte superiore al valore imperativo di evacuazione della zona: si dovrebbe trattare, pertanto, di una zona acquifera proibita. Ma, per quanto ne sappiamo, nessuna misura preventiva a tutela della popolazione è stata presa. E non solo. La coppia propone un calcolo del quantitativo di Cesio 137 liberatosi nell’aria, partendo dal presupposto che Rovello Porro si trova a 30 chilometri da Milano. Abbiamo detto che la sorgente conteneva dai 600 ai 6000 Curie.

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