Il Palasharp di Milano ha fatto una brutta fine

06/02/2013 di Maghdi Abo Abia

Una brutta fine. Si puo’ dire solo questo relativamente al crollo (metaforico) del Palasharp di Milano, nato come provvisorio e che ha rappresentato in più di 20 anni un luogo di aggregazione e divertimento per milanesi e non solo.

AL POSTO DEL PALAZZONE – Dicevamo provvisorio. La struttura è stata eretta in pochi mesi dalla famiglia di Divier Togni nel 1985 a causa del crollo, avvenuto qualche mese prima, del Palazzone, ovvero il Palazzo dello Sport di Milano, collassato sotto l’eccezionale nevicata dell’epoca che restò nella storia di tutto il nord Italia. Di quella costruzione all’epoca straordinaria è rimasto un piccolo bosco interdetto all’accesso del pubblico a fianco dello stadio di San Siro. La tensostruttura poteva contenere solo 10 mila dei 18 ospitati dalla vecchia struttura ed avrebbe avuto un carattere temporaneo. Sarebbe stata cioè smantellata una volta risolta la questione “palazzetto dello sport”.

I CONCERTI – Ed invece eccoci qua a raccontare una nuova, avvilente storia, che ha come protagonista il bene pubblico, qui sotto forma di spazio destinato ad attività di svago e culturali. Il primo evento fu nel settembre del 1986, un concerto di Frank Sinatra e qui vi giocò la squadra di basket locale, l’Olimpia Milano, prima che aprisse il Forum di Assago, nel 1990. Nello stesso anno venne ospitato anche Luciano Pavarotti per inaugurare i Mondiali di Calcio italiani. Qui si esibirono anche gli Slayer, gli Ska-P, venne ospitata la Festa dell’Unità e vennero accolti i fedeli della madonna di Medjugorje.

TUTTO FIGLIO DELL’ABUSIVISMO – E’ opportuno tuttavia ricordare che la struttura, nata come Palatrussardi e poi chiamata rispettivamente: Palavobis, Palatucker, Mazdapalace ed infine Palasharp nacque in ossequio alla migliore tradizione italiana: fu infatti un abuso edilizio. La struttura ricevette due autorizzazioni provvisorie per strutture mobili. Ma il Tar Lombardo stabilì che tali permessi non erano adeguati visto che parliamo di una tensostruttura costruita in metallo e cemento armato. Quindi non poteva essere mobile. Allora venne concessa una deroga in sanatoria attraverso un nulla osta regionale. Solo il Consiglio di Stato riuscì a stabilire nel 1997 che la sua costruzione “rientrava nell’esercizio delle funzioni amministrative comunali di promozione di attività ricreative e sportive”.

VIA PER L’EXPO – Insomma, ci vollero 12 anni per capire che quello che venne realizzato da Darix Togni era previsto dalla legge grazie ad un’apposita deroga. Eppure un elemento così importante della storia di Milano oggi è abbandonato a sé stesso, vittima del degrado, della dimenticanza e della mancanza di un progetto serio. Il palazzetto dello sport rimase in piedi per tre anni mentre i proprietari discutevano il da farsi. La struttura, parzialmente collassata a causa del peso della neve caduta, si rovinò al punto tale che ne venne decisa la demolizione. E la paura per il Palasharp è che possa fare la stessa fine. Il palazzetto, chiuso nel 2011 per fare spazio ad un “qualcosa” legato ad Expo -ne parleremo- è oggi abbandonato a sé stesso, alle intemperie ed al degrado.

L’ABBANDONO – Siamo andati in mattinata per monitorare la situazione e ci siamo imbattuti in alcune persone le quali, sacchetti della spesa alla mano, passavano attraverso uno spazio praticato nella recinzione, protetto da un albero, per andare in quella che è diventata la loro casa. Si, perché il Palasharp oggi è diventato terra di nessuno. Il degrado è ovunque. I parcheggi, una volta ben tenuti, sono oggi spaccati ed ospitano pezzi di vetro e parte dell’arredamento interno della struttura. Anche i cartelli pubblicitari rimasti all’epoca dell’ultimo avvenimento, tra cui spicca uno del Corriere della Sera, stanno lì ad guardare il tempo che passa ed a deperire.

SPAZIO AI MUSULMANI – Alcune porte sono sfondate, così come i vetri. L’impianto dell’aria condizionata è lì abbandonato ed aperto senza alcuna cura. La vista dall’esterno è disarmante e sicuramente dentro le cose non vanno meglio. Siamo entrati approfittando di un piccolo buco nella recinzione all’ingresso di Via Sant’Elia. Davanti ci troviamo il telone montato ai tempi della giunta Moratti per accogliere i musulmani in preghiera in occasione della festa di fine Ramadan, l’Eid el-Fitr e per la preghiera del venerdi. Dentro sono rimasti i tappeti, alcuni distesi, altri arrotolati. Sulla destra una decina di bagni chimici perfettamente tenuti ed alcuni lavabi per i piedi installati per permettere le abluzioni dei fedeli.

CALCINACCI OVUNQUE – Fino a qui niente di strano, ma il peggio si nasconde dietro le transenne, ovvero nella pancia della balena bianca che guarda ormai stanca ed esausta. Anche qui ci sono due porte sfondate con vetri in frantumi. Entriamo e rimaniamo di sale al rumore di alcuni passi che si confondono nel buio della struttura. Del resto si entra in una terra di nessuno dalla quale è difficile uscire. Aspettiamo che questi spariscano e possiamo iniziare il nostro giro di perlustrazione della zona appartenente alle tribune non numerate. Quelli che erano gli spazi del bar sono sfondati. Ci sono calcinacci ovunque, un contatore dell’acqua per terra, effetti personali, un materasso, bagni pieni di qualsiasi cosa, lampade penzolanti.

BALENA VUOTA – Cerchiamo di avanzare ma il buio ed il freddo ci fermano. Non si vedrebbe comunque nulla e si sentono delle voci in lontananza, probabilmente amici della coppia di uomini entrata pochi minuti prima dal buco protetto da un albero dietro una collinetta artificiale di via Sant’Elia. Riconquistiamo l’uscita e proviamo a girare intorno rendendoci conto che il tutto è molto diverso da quanto appare sul satellite, ovvero di una struttura pulita, in ordine, sicura e confortevole. Oggi il Palasharp è una balena vuota, ferita, casa di disperati di ogni genere e di persone che dentro si muovono come fossero a casa loro (almeno a giudicare da coloro che passavano sigaretta in bocca sempre protetti dalla collinetta di Via Sant’Elia) ma che entrano come dei topolini attraverso le fessure.

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