Le donne sfruttate della Coop scrivono alla Littizzetto

“La Coop sei tu” recitava un famoso spot del noto supermercato entrato nelle case di tutti gli italiani. Chissà se la pensano così le precarie che tutti i giorni nei famosi centri commerciali ci lavorano. Sicuramente no visto che, sentendosi sfruttate hanno scritto una lettera a Luciana Littizzetto, testimonial del noto marchio. Tanto che se la frase ora come ora si potesse cambiare loro certamente direbbero “Cara Luciana, no, la Coop non sei tu”.

700 EURO – Già, perché la condizione che raccontano le donne che tutti i giorni nei centro commerciali ci lavorano non è proprio rosea come invece descritta nella pubblicità. Anzi. Lavoro sei giorni su sette, domeniche comprese, con buste paga quasi da fame che spesso non arrivano neanche a 700 euro al mese. Perché se il precariato è una condizione di lavoro molto diffusa, neanche la Coop ne esce indenne. Così può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta o di vivere in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e con l’obbligo di dover accettare tutte le decisioni che continuamente vengono prese da altri. Basti pensare che per andare in bagno bisogna chiedere il permesso. Senza contare poi la difficoltà nel denunciare, protestare o anche solo discutere decisioni prese dai capi di sesso maschile. E allora, pur di lavorare, alcune sono state costrette a subire in silenzio perfino molestie e avances.

LA LETTERA – È questo il mondo Coop, quello vero, che si cela dietro la favola descritta dagli spot televisivi, raccontato da un gruppo di lavoratrici dell’Usb, il sindacato ‘USB Lavoro Privato’, che, nella giornata contro la violenza sulle donne, hanno impugnato carta e penna e hanno scritto una lettera aperta a Luciana Littizzetto, testimonial della Coop. Missiva in cui vengono rappresentate le condizioni vissute dalle donne che nei centri commerciali ci lavorano davvero. Parole pesanti quelle delle rappresentanti del sindacato, che denunciano turni massacranti che “possono cambiare anche all’ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all’ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli”. Una lettera che fa emergere in modo chiaro e deciso la condizione di disagio vissuta dalle donne del commercio e la determinazione ad uscire dall’invisibilità con la prospettiva di migliorare la condizione femminile all’interno di queste nuove fabbriche metropolitane attraverso l`organizzazione e la lotta.

NON E’ UNO SPOT – Così le donne a gran voce continuano a ripetere: “Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate”. Altro che “vengo a vivere alla Coop”,si direbbe, citando un’altra celebre frase pubblicitaria. A casa le donne ci starebbero volentieri. Con figli e mariti. Eppure sanno di essere senza alternativa, perché in qualche modo la famiglia si deve mantenere, e allora meglio essere sfruttate che rimanere a casa senza lavoro. Soprattutto in un momento di crisi come questo. Ma sanno bene che la Coop rose e fiori descritta in modo accattivante e con un ambiente simpatico non è quella dove lavorano. Ma soprattutto è quella in cui loro non compaiono mai. Come nemmeno la loro sofferenza quotidiana.

LUCIANA – E allora puntano il dito contro Luciana, donna come loro, che ha solo la colpa di esser la testimonial prescelta dal famoso marchio. Perché in questa storia ovattata che spesso viene raccontata dimenticandosi di loro, loro invece ci sono, eccome. Così a gran voce continuano a ripetere:”Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate”. Per questo non sono contente. E come potrebbero lavorando per un’azienda che a parole nello spot, proprio attraverso Luciana Littizzetto, afferma di proteggere tutti con i prodotti a marchio Coop ma che poi di fatto non tutela nemmeno le sue dipendenti.E allora se un’altra celebre pubblicità dice che “la Coop è di tutti” in questo caso, mai è stato così chiaro che non è per niente così.

 

La lettera integrale:

 

Cara Luciana,

lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una cassiera che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che non arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo abituate ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a casa. Abbiamo un’alternativa secondo te?

Nei tuoi spot spiritosi descrivi la Coop come un mondo accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle che la mandano avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e sereno che parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di sporcare quella bella fotografia che tu racconti tutti i giorni.

Ma in questa storia noi ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente. Si guadagna poco e si lavora tanto. Ma non finisce qui. Noi donne siamo la grande maggioranza di chi lavora in Coop, siamo circa l’80%. Prova a chiedere quante sono le dirigenti donna dell’azienda e capirai qual è la nostra condizione.

A comandare sono tutti uomini e non vige certo lo spirito cooperativo. Ti facciamo un esempio: per andare in bagno bisogna chiedere il permesso e siccome il personale è sempre poco possiamo anche aspettare ore prima di poter andare.

Il lavoro precario è una condizione molto diffusa alla Coop e può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta. Viviamo in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e perciò sempre in condizioni di dover accettare tutte le decisioni che continuamente vengono prese sulla nostra pelle.

Prendi il caso dei turni: te li possono cambiare anche all’ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all’ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli.

Denunciare, protestare o anche solo discutere decisioni che ti riguardano non è affatto facile nel nostro ambiente. Ci è capitato di essere costrette a subire in silenzio finanche le molestie da parte dei capi dell’altro sesso per salvare il posto o non veder peggiorare la nostra situazione.

Tutte queste cose tu probabilmente non le sai, come non le sanno le migliaia di clienti dei negozi Coop in tutta Italia. Non te le hanno fatte vedere né te le hanno raccontate. Ed anche a noi ci impediscono di parlarne con il ricatto che se colpiamo l’immagine della Coop rompiamo il rapporto di fiducia che ci lega per contratto e possiamo essere licenziate.

Ma noi non vogliamo colpire il marchio e l’immagine della Coop, vogliamo solo uscire dall’invisibilità e ricordare a te e a tutti che ci siamo anche noi. Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate.

Abbiamo paura ma sappiamo che mettendoci insieme possiamo essere più forti e per questo ci siamo organizzate. La Coop è il nostro posto di lavoro, non può essere la nostra prigione. Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone. Cara Luciana ci auguriamo che queste parole ti raggiungano e ti facciano pensare. Ci piacerebbe incontrarti e proporti un altro spot in difesa delle donne e per la dignità del lavoro.

Con simpatia, un gruppo di lavoratrici Coop

 

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