L’ispettore Google Earth e il caso della ragazza scomparsa

La grande G ci guarda, che siamo vivi o che siamo morti: e anche se non volessimo farlo sapere, come siamo, lei lo scopre lo stesso.


Se è vero come è vero che cerchiamo solo ciò che abbiamo già trovato per il solo gusto di non aver sorprese, non è vero che sprechiamo il nostro tempo con il nostro nome e cognome sui motori di ricerca. Solo con le frasi fatte ed il senso della vita. Con le donne nude o a festeggiar Flaiano, che poi è la stessa cosa. Macché. Grazie ad Internet si aprono davanti a noi infinite possibilità di speculazione. Prendete appunto la storia di una ragazza americana, bionda, vent’anni, della Florida. Che vuol dire bionda naturale, per obbligo di legge. Scomparsa dal 2006, sta rivivendo una seconda giovinezza mediatica. Grazie a chi ? Grazie a Google Earth, una specie di mappa del Catasto due punto zero dove la Terra è ripresa come se ci fosse vita (e una troupe) su Marte, che nel dubbio sia tuo zio che ti saluta quel pulviscolo sul monitor ti acceca e riduce i luoghi, mondi e laghi a pixel. Insomma, un catorcio per cani guida ma del quale è indispensabile rifornire la vostra polizia. Come se non fosse abbastanza non vedente. E’ quel che è successo alla pula di Orlando. Come non fosse abbastanza essere stati impersonati da Christian De Sica e Belen Rodriguez nello spot della Tim, qualche buontempone li ha ulteriormente incattiviti dirigendoli verso il mondo a misura di uomo che cerca su Google Earth. Tramite il quale, attraverso immagini di repertorio che testimonierebbero chissà cosa, forse che la vita è più piccola che misteriosa, più a puntini che a puntate, per dar rispetto al progresso più che sepoltura a un morto si son riaperte le ricerche.

VANITAS VANITATUM -Si chiamava Jennifer Kesse. Aveva venticinque anni al momento della fuga. Volontaria o meno che fosse, era pur sempre in orario d’ufficio. Lei era lei, unica e sola, irripetibile e magari con l’affitto bloccato. Aveva tutto ma fuori era pur sempre Gennaio. Sparita. Vanished come dicono i locali: come se sparire, il sottrarsi, evocasse la vanità. Niente, comunque sia andata ha disertato. Non l’hanno più vista e allora si son vendicati. Video di questo, video di quello. Foto, jingle, jungle, spot, zip. Frames, file, ping, pong: e cerca l’auto e trova l’auto e metti l’annuncio e togli l’annuncio se rimetti la prece. Dagli di sito o ti metti di punta. La seconda vita di Jennifer Kesse è stato un inferno. Senza pietà. Ricerche, setacci, ricostruzioni, paginoni centrali. A un certo punto forse qualcuno mosso a compassione ha piazzato la foto, presa da una bara che per non stare sotto terra l’hanno messa in rete, in un sito per lesbiche. Finalmente la morta s‘era rifatta una vita. Tutto tornava così. La scelta sessuale, il senso di potenza, quello d’impotenza, il cambiamento. No, non era il prossimo congresso del Pd ma le felicitazioni intorno alla nuova frontiera della resurrezione, la trollata. Ma i nemici della quiete pubblica erano in agguato. Ecco che spunta Google Earth, il mostro, il bombarolo con l’aspetto da impiegato come nell’ Urss conoscevano la rivoluzione all’italiana.

THE DESTINY IS BLOND – L’ipotesi è unica, è rapimento. La sparizione non è ammessa. Quella casuale e quindi (perché è così che capita) definitiva, vietata dalla legge dei paesi caldi e divertenti. Nessuno può sottrarsi al suo destino, tantomeno una bionda di vent’anni. E allora bisogna che qualcuno, non si capisce chi, l’abbia presa, non si capisce cosa, portata in un campo di papaveri e speranze, ma Gennaio un mese e per questo poi c’è Sanremo, e bruciata. Come se da quelle parti non ci pensasse il sole, come se a vent’anni non ti bastasse la monetina. Ecco che lo zoo(m) del web ti traccia l’identikit di una fuga dai nostri occhi fallita. Come ci si mette l’anima in pace piuttosto che andare a lavorare ? Prendi un punto di riferimento, e anziché farne la fine della ricreazione ricominci, scemo, daccapo e ne fai un passaggio di ipotesi. La macchina della rapita è stata lì perché ci sarebbero tracce di gomme che poi a riprova dell’esser iniziate finiscono. Lo fanno per convertirsi in uno scomodo percorso a piedi sfociante in una macchia. Magari è tutto più ovvio, ha dato a qualcuno un passaggio e a se stessa una diversa occasione. Se le regole non hanno motivo, perché dovrebbero le eccezioni. Resta il problema della macchia. E’ chiara. Per la romantica questura di Google quella è la cenere. Magari era solo una mosca. Per caso, bianca.

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