Le mani della mafia italiana sul Kenya

La comunità italiana di Malindi, costa del Kenya, Africa Orientale, è una delle più numerose del mondo. La città è da tempo meta prediletta del turismo italiano, ma non solo: anche degli investimenti, dei denari, del mercato immobiliare e delle costruzioni. E, si apprende, della mafia: ben più. Pare che, secondo le notizie della cronaca locale, la città keniota sia praticamente controllata dalla mafia italiana.

 

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NOTIZIE DELICATE – C’è un giornalista dello Standard, quotidiano del Kenya, che si chiama Paul Gitau e che da qualche tempo segue in maniera ravvicinata e costante l’attività delle mafie italiane sulla costa africana.

“La società legale del Kenya”, ha scritto Gitau, “afferma di avere prove del fatto che la città costiera sia fermamente nella morsa della mafia italiana, che controlla e compromette l’amministrazione della giustizia. (…) Per lungo tempo la mafia italiana ha avuto un’influenza immensa sull’apparato di sicurezza e sul sistema giudiziario di Malindi, permettendo un “clima di impunità”.

LE MINACCE – “Hanno il controllo di Malindi”, dice Mr Mutua della LSK, “della polizia, dei tribunali, della giustizia”, spiega l’uomo della Law Society. Dopo la pubblicazione sullo Standard di questo articolo, l’Atlantic, popolare media americano, ha tracciato il seguito della storia. Gitau è stato contattato da un non meglio identificato “investitore italiano” che al telefono gli ha detto: “Abbiamo formato un comitato e ci siamo incontrati per trattare con l’autore. Domani ci possiamo incontrare e, se coopererà con noi, sarà salvo”. Insomma, una minaccia di morte: “Ha parlato con amici, contattato un avvocato, riportato la questione alla polizia, chiesto protezione, che non ha ricevuto”. La polizia, generalmente molto corrotta, non prende una posizione chiara sull’occupazione della costa keniota da parte della mafia italiana, né ammette di avere sul tavolo il caso di Gitau.

PADRONI DI MALINDI – Insomma, come se niente fosse accaduto. “La stessa persona che dovrebbe proteggermi dice di non sapere nulla della questione. Il che significa che è parte in causa”, dice Gitau. La comunità italiana a Malindi è molto più ricca della media della popolazione: secondo un ex lavoratore maschile dell’industria del sesso, “la maggior parte degli italiani qui sono coinvolti nell’industria della droga o del sesso. E quando se ne vanno da qui, lasciano le loro impronte. Le vite sono rovinate”. La zona sta diventando un hub di primissimo livello per il commercio internazionale di droga, sostituendo l’Africa occidentale nel ruolo di snodo verso l’Europa dal Sud America. Le tradizionali rotte, quelle che passano dalla costa occidentale e dalla Turchia, sono ormai note alle forze dell’ordine e il fronte di Malindi può essere molto interessante: James Kitau è un contractor attivo nel settore immobiliare che dice di poter vantare “contatti” con tutto l’ambiente che conta. “Ho visto case con linee satellitari sicure e tunnel sottomarini che si dirigono in case principesche, e vascelli che entrano nelle proprietà senza essere visti. Hanno navi veloci. Portano la droga dentro e la mescolano con altre merci. La importano dal mare”, spiega Kitau.

POSTI FAMILIARI – Droga. Riciclaggio. Prostituzione: secondo gli esperti dal Kenya gli agenti italiani inviano elementi pronti ad inserirsi nell’industria del sesso europea. Malindi sembra il paradiso della nuova criminalità, e gli italiani la fanno da padrone. “Tradizionalmente gli italiani qui a Malindi sono tanti”, dice Federico Varese, esperto di mafia e docente ad Oxford: “Le reti criminali devono investire in affari profittevoli, spesso altrove. E lo fanno in comunità che conoscono, dove hanno amici e consulenti finanziari oscuri”.

 

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