Una cosa (poco) divertente che non farò mai più: prendere il Ritalin

La vera, unica, inimitabile esperienza di vita di un vero GGGGiovane (C) alle prese con gli psicofarmaci

Gianluca Morozzi è un autore che stimo sebbene la sua tendenza al plagio abbia oramai assunto carattere patologico. Non pago di avermi scopiazzato lo stile (è un vorace lettore del Posto del Vertigo, anche se lui nega recisamente) ha deciso di scopiazzarmi anche gli articoli scientifici. Tempo addietro quando ero un giovane di belle speranze munito di borsa di studio e di borsello di ricerca ho convogliato i miei dieci miliardi di neuroni e i miei cento miliardi di sinapsi nella produzione di un articolo di bioetica, dal roboante titolo di “Il metifelnidato nella terapia del disturbo da deficit d’attenzione: una prospettiva etico-teorica” (lo so, suona tremendamente bene). Puntuale come una multa di un ausiliario del traffico Morozzi ha deciso di parlare ora della “sua” esperienza col Ritalin (notate il virgolettato di “sua”: so come prendermi le mie rivincite).

IO E IL DEFICIT – Pur non essendo Morozzi (ho una quantità impressionante di capelli al centimetro cubo) vorrei raccontarvi ora la mia esperienza con il Ritalin lasciando ai posteri l’ardua sentenza di stabilire chi sia il vincitore. Circa sette anni fa, che iddio abbia pietà di me, mi ero convinto di avere il fantomatico disturbo da deficit d’attenzione, ai più noto come ADHD (prego qui l’impaginatore di Giornalettismo di inserire il maiuscoletto che fa fino). Erano i primi tempi di Internet, che con il mio macinino a 56 k utilizzavo prevalentemente per due scopi: trombare il più alto numero possibile di giovani sprovvedute e autodiagnosticarmi sindromi psichiatriche. Scoperto al di là di ogni ragionevole dubbio di avere il disturbo da deficit d’attenzione mi risolsi a trovare uno psichiatra compiacente, che per esigenze di privacy chiameremo con un nome fittizio: Josef Mengele. Il dott. Mengele mi prescrisse nel giro di due settimane la seguente lista, non esaustiva, di psicofarmaci: clomipramina, desipramina, imipramina, bupropione, litio, reboxetina, carbamazepina, mirtazapina, trifluoperazina, tranilcipromina nonché l’intera gamma degli antidepressivi serotoninergici, a proposito dei quali credo di essere stato l’unico essere umano al mondo ad averli provati tutti e cinque: fluovoxamina, fluoxetina, citalopram, sertralina e paroxetina (mi manca invero l’escitalopram ma è una variante del citalopram e quindi secondo me non conta).

CIRCOLO VIZIOSO E DEPRESSO – Dopo questa ghiotta indigestione di sostanze psicoattive avevo chiaramente bisogno di uno psichiatra. Il problema degli psichiatri è che tendono a prescrivere psicofarmaci e il problema degli psicofarmaci è che tendono a indurre effetti collaterali per il controllo dei quali sono necessari ulteriori psicofarmaci, in un ricorso ad infinitum che può ricordare a taluni le vicende di Achille pie’ veloce e della sua bolsa tartaruga. Se pensate che stia scherzando vi invito a leggere la mia tesi di dottorato, che tra l’altro è gelosamente custodita nella mia scarpiera, nella quale si afferma a chiare lettere alle pagg. 206-207 quanto segue.

Per il DSM-IV affinché si possa effettuare una diagnosi di depressione devono essere presenti cinque o più dei nove criteri che trovate su Wikipedia. Di questi nove ben cinque figurano tra gli effetti collaterali della clomipramina, uno degli antidepressivi più diffusi, tanto da essere persino indicati nel bugiardino: affaticamento (criterio 6), agitazione (criterio 5), disturbi del sonno (criterio 4), difficoltà a concentrarsi (criterio 8), aumento del peso corporeo (criterio 3). Ne consegue logicamente che assumere clomipramina, un antidepressivo, induce depressione.

Ancora una volta, se pensate che io stia scherzando, sappiate che nel 2005 la Food & Drug Administration, il ministero della sanità usa, ha chiesto ai produttori dei dieci principali antidepressivi di aggiungere sulle etichette una nota che avverta i consumatori che gli antidepressivi possono aumentare il rischio di suicidio. E’ come dire che l’insulina aumenta il rischio di diabete, che la vitamina C causa lo scorbuto, che la psichiatria è una scienza e che la mia prosa non è scoppiettante. L’iter classico dello psicobambino è quindi il seguente. È distratto e disattento e gli viene prescritto il Ritalin. Ma quel punto inizia a soffrire di psicosi (è un effetto possibile del Ritalin) e gli viene prescritto un antipsicotico. Ma a quel punto inizia a soffrire di depressione (è un effetto possibile dell’antipsicotico) e gli viene prescritto un antidepressivo. Ma a quel punto inizia a soffrire di ansia (è un effetto possibile dell’antidepressivo) e gli viene prescritto un ansiolitico. Quale che sia l’effetto dell’ansiolitico non gli può essere prescritto nient’altro, perché i farmaci sono finiti. Qualche psichiatra molto zelante arriva a somministrare al cadavere del litio ma l’umore del bambino nella bara è già sufficientemente stabilizzato. Tutto questo è documentato tra gli altri da Peter Breggin, uno psichiatra che come potete immaginare non sta facendo una gran carriera nell’American Psychiatric Association.

COLLATERAL – Tornando a noi tra gli psicofarmaci più divertenti che ho provato c’è senz’altro il bupropione che fa ridere già dal nome. Questa sostanza viene usata anche per smettere di fumare conformemente al noto principio utilizzato in psicofarmacologia secondo il quale “del maiale non si butta via niente”, anche noto come serendipity. Il buproprione ricalca quindi le gloriose orme della leggendaria imipramina che negli anni ’50 venne proposta la schizofrenia ma poi, così va il mondo, si rivelò utile per la depressione, e della clorpromazina che venne proposta come antitubercolare ma poi, così va il mondo, si rivelò utile per la schizofrenia (pare per inciso che gli psichiatri avessero capito di aver fatto bingo dopo aver notato che i pazienti tubercolotici, pur non guariti, non rompevano più il cazzo). Per completare il cerchio qualcuno ha proposto di utilizzare la malaria per lenire l’ansia, e l’inoculazione del virus dell’aids per il contenimento del disturbo bipolare ma allo stato attuale delle ricerche non è lecito incoraggiare false speranze. Il buproprione non mi ha fatto smettere di fumare, né ha migliorato la mia concentrazione ma ha avuto su di me i seguenti effetti che chiameremo, non senza un filo di ironia, “collaterali”.

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