Il mercato delle armi da guerra. Chi vende a chi?

22/09/2009 di John B

Un rapporto del Congresso rivela che gli americani vendono più armi di tutti. O forse no.

In questi giorni i media hanno riportato la notizia che da un recente rapporto del Congresso risulta che gli USA sono i maggior fornitori di armi nel mondo, seguiti dall’Italia. Ad esempio, Carla Reschia scrive su La StampaArmi: il 68% di tutte quelle vendute nel mondo è made in Usa… Gli acquirenti sono al 70% i Paesi in via di sviluppo… gli Stati Uniti si confermano ancora una volta il maggiore venditore di armi al mondo. Seguiti, sorpresa – se pur a grande distanza – dall’Italia… A chi sono state vendute le armi? Soprattutto ai Paesi in via di sviluppo, che hanno acquistato oltre il 70% del totale delle armi vendute dagli americani l’anno scorso… Il rapporto ci informa anche che l’anno scorso il 68,4% di tutte le armi vendute nel mondo erano di provenienza americana. I più grandi acquirenti si confermano però Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, committenti nel 2008 di una maxiordinazione da 6,5 miliardi di dollari in sistemi di difesa per l’aeronautica”. Ora, per capire queste percentuali e per comprendere a grandi linee come funziona il mercato delle armi nel mondo, è utile fare alcune premesse di carattere generale. Le industrie belliche quasi mai vendono armi direttamente ai loro clienti: i contratti militari sono generalmente frutto di trattative che impegnano i rispettivi governi e in qualche caso devono ottenere l’approvazione degli organi legislativi (Parlamento, Congresso, ecc…).

COME FUNZIONA – Quasi nessuno, poi, compra le armi e lascia i soldi: il contratto prevede solitamente una serie di compensazioni economiche e industriali che possono persino superare il valore del contratto stesso. Ad esempio l’industria del Paese A vende alle forze armate del Paese B una serie di equipaggiamenti militari, e in cambio il Paese A si impegna a comprare dal Paese B una serie di altri prodotti non necessariamente militari. Così il Paese A vende carri armati al Paese B e quest’ultimo vende angurie e ferri da stiro al Paese A. Tipico è il caso dei paesi produttori di petrolio, che solitamente pagano con l’oro nero, ma anche chi non ha risorse naturali piazza quello che produce, e se non produce nulla le compensazioni prevederanno la costruzione di impianti produttivi. La vendita di armi, quindi, raramente si traduce in un depauperamento delle risorse dell’acquirente (questa invece era la regola fino a qualche decennio fa), ma quasi sempre è occasione di sviluppo economico e industriale per l’apertura di nuovi mercati in seno al venditore. Queste compensazioni si chiamano “offset” nel linguaggio commerciale internazionale, e sono ormai una prassi consolidata, necessaria per vendere qualsiasi armamento. Addirittura alcuni paesi hanno pubblicato vere e proprie linee guida sugli offset che richiedono a qualsiasi venditore di armi. Spesso quindi un acquisto di armi si traduce in migliaia di posti di lavoro e in grossi benefici economici e industriali: tutti ci guadagnano e tutti sono contenti, uno di quei miracoli dell’economia di mercato che non si sa bene come funzionano ma funzionano.

ARMI COME NOCCIOLINE? – Ma qualcuno potrebbe osservare, a ragione, che le armi non sono angurie e servono a portare morte e distruzione, per cui i ragionamenti di natura economica lasciano il tempo che trovano.  In questo caso, però, si deve far notare che le percentuali e i dati citati si riferiscono al valore economico dei contratti, e non all’effettiva quantità di armi vendute. E qui è bene tenere a mente che i prodotti militari occidentali sono enormemente più costosi di quelli degli altri produttori. Ad esempio un carro armato M-1 Abrams costa intorno ai 5 milioni e mezzo di dollari mentre un modernissimo T-90 russo costa la metà e un T-98 cinese ancora meno. Quindi non è detto che chi fattura di più è anche quello che vende più armi. Difatti proprio i T-90 e i T-98 dominano il mercato dei carri armati: oltre il 60% dei mezzi venduti appartiene a questi modelli (dati Asia Defence, 4 marzo 2009). Bisogna pure considerare che i contratti non prevedono mai la vendita del solo prodotto (ad esempio un certo numero di aerei o carri armati o navi) ma anche pezzi di ricambio, supporto logistico, addestramento del personale ecc… Un vero e proprio pacchetto all-inclusive, nel quale però i costi occidentali, specialmente quelli dell’assistenza specializzata, sono ben maggiori di quelli della concorrenza. Un altro punto da sottolineare è quello che il rapporto inserisce fra i paesi in via di sviluppo nazioni che ben difficilmente possono considerarsi tali, se non con il particolare metro di valutazione dei suoi estensori. Ritroviamo nell’elenco, infatti, l’Arabia Saudita, Israele, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait !E ancora, la stessa Cina, la Malesia, Singapore, la Corea del Sud, l’India, Taiwan.

ECCO CHI COMPRA – Si tratta con tutta evidenza di paesi con una solida realtà industriale ed economica, e alcuni di loro vantano un’industria bellica di livello mondiale. Con eccezione di Cina e India, tutti quei paesi comprano solo o prevalentemente equipaggiamenti di produzione occidentale (e in particolare americana). Come spiega una nota del rapporto, infatti, sono considerati paesi in via di sviluppo tutti quelli che non appartengono al gruppo Nord America, Europa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. E tuttavia, pur allargando in modo così improprio la categoria dei paesi in via di sviluppo, solo poco più del 63 % del valore delle vendite americane è attribuito a essi, contro il 95 % della Russia e quasi il 98 % della Cina (tabella 2). La cosa non stupisce: i paesi considerati “sviluppati” dal rapporto non sono clienti militari di Cina e Russia, mentre a questo punto tutti gli acquirenti di armi cinesi e russe sono necessariamente in via di sviluppo.E’ chiaro che queste percentuali non hanno alcun senso.Un’altra distinzione da fare è quella tra contratti e consegne.Un conto è il valore dei contratti (che possono prevedere consegne spalmate nell’arco di molti anni) e altro è il valore delle consegne. Solo quest’ultimo dato è realmente significativo (altrimenti un paese che spunta un mega-contratto decennale andrebbe considerato fornitore di armi il primo anno e un angioletto pacifista negli altri nove).

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