Essere donna in Arabia Saudita: “Io, umiliata due volte”

Secondo la tradizione islamica, una donna trascorre la sua vita sotto la tutela giuridica di un parente maschio, e questo può significare solo una cosa: chi decide della propria vita non è la persona a cui la vita appartiene.

I matrimoni forzati delle donne non sono un concetto nuovo in Arabia Saudita. Per una donna è necessario ottenere il consenso di suo padre, che è considerato il suo tutore, prima di essere autorizzati a sposarsi. Anche nel terzo millennio, anche se la donna è istruita e lavora come Fatima Bent Suleiman Al Azzaz, che insegna ad usare il computer. Infatti è quello che accade quando Fatima nel 2003 formalizza la sua unione con Mansour Ben Attieh El Timani. C’è da dire che stavolta però il consenso è solo una questione burocratica: Fatima e Mansour sono giovani ed innamorati, e presto alla coppia si aggiunge una bambina, Nuha. Sono talmente felici che decidono di avere subito un altro figlio, ma mentre Fatima è ancora incinta accade qualcosa che nessuno poteva prevedere: il padre della donna, nel 2004, decide poco prima di morire di trasferire la sua tutela ai fratellastri. E fin qui non cambia nulla apparentemente, anche se suona veramente stonato che un essere umano di 35 anni, madre e responsabile della vita dei suoi figli, debba avere un tutore; in fondo quando non si può decidere per se stessi tutto quello che si può fare è comportarsi come chi esce di casa la mattina senza ombrello: sperare che non piova. Non è nella natura delle cose però che il sole splenda tutti i giorni: nel 2005 i fratelli di Fatima inoltrano una richiesta al tribunale per farla divorziare forzatamente, adducendo la classe sociale inferiore di Mansour come motivazione: infatti come un padre (o qualsiasi altro tutore di sesso maschile) può scegliere il coniuge di sua figlia, allo stesso modo può anche porre fine al suo matrimonio senza il suo consenso o quello del marito. Il piano dei fratelli di Fatima è di farla divorziare e di ottenere il controllo della sua eredità. Contro la loro volontà, il giudice decreta il divorzio di Fatima e Mansour : “ero sbalordita quando il giudice ha accettato” racconta Fatima. Nel 2007 la coppia impugna la decisione, ma alla fine il divorzio viene confermato dalla corte suprema del paese.

DISCESA NELL’INCUBO – Fatima e il marito non si danno per vinti: non riconoscono il divorzio e continuano a vivere insieme. Ma nel frattempo, i fratellastri avvertono la polizia. “Dal momento che non eravamo più legalmente sposati, io e mio marito potevamo essere arrestati per adulterio” spiega la donna, che viene imprigionata per nove mesi con i suoi due bambini; “mio marito era nella lista nera da parte del governo, il che significa che il suo conto in banca è stato congelato e non riusciva a trovare un lavoro. Da allora, ha vissuto grazie le donazioni da parte di persone intorno a lui,infatti in Islam, vi è l’obbligo religioso di donare una parte del reddito alle persone bisognose”, continua. Fatima vive nove mesi di inferno, quasi la nemesi di una gravidanza che prelude alla nascita di una realtà assurda. La cella dove deve vivere è sporca, e la maggior parte delle donne che la condividono con lei e i suoi bimbi sono assassine o tossicodipendenti. Non viene permesso ai bambini di vedere il padre anche se alla fine riescono ad ottenere che la figlia più grande di due anni gli venga affidata, mentre il più piccolo Suleiman, ancora neonato, rimane con lei in carcere. Dopo essere stata rilasciata poi si rifiuta di vivere sotto la custodia del fratellastro, il suo nuovo tutore legale, ed è costretta a vivere in un orfanatrofio con il bimbo perché una donna non può vivere sola. Mansour intanto, sotto la costante minaccia di reclusione, è costretto a muoversi continuamente con Nuha, che soffre di un forte stress psicologico perché non può vedere la madre e per la vita che deve condurre nascosta e senza poter uscire: ha paura di tutti quelli che non conosce. Non può andare a scuola perché non è possibile ottenere il suo certificato di nascita o altri documenti che sono richiesti per l’ammissione, insomma è una bambina “fuorilegge”.

Sono tre anni che vivono in queste condizioni: a Fatima non ha il permesso di uscire o di ricevere visite nell’istituto in cui vive e comunica con il marito attraverso gli amici. E come in una strana favola al contrario il re dell’Arabia Saudita è l’unica persona che ha il potere di riunire questa famiglia. Per sostenere la causa di Fatima e dei suoi cari si può mandare un fax indirizzato a “His Majesty, King Abdullah bin Abdul Aziz Al Saud, Kingdom of Saudi Arabia” allo 011-966-1-491-2726 oppure per maggiori informazioni visitare il sito EqualityNow.org. Fatima dice: “Vogliamo solo la nostra famiglia possa stare di nuovo insieme”. E’ normale dover lottare per questo?

Share this article