Il suicidio e l’anima stracciata di chi resta vivo

Fra la ricerca di ragioni e perché, spesso si dimentica che per ogni vita che va via ce ne sono tante che rimangono. E che soffrono.

Nell’arco di un mese, nel territorio a me affidato come psichiatra, si sono suicidati due ragazzi. Entrambi maschi, entrambi avevano 20 anni, nessuno dei due aveva mostrato indizi rispetto alla propria intenzione di metter fine alla loro vita. In entrambi i casi si è trattato dunque di un fulmine a ciel sereno. Sono situazioni in cui solitamente chi rimane cerca di comprendere, di percorrere a ritroso le strade del tempo e dei luoghi, i sentieri degli affetti e dei dubbi nel tentativo spesso piuttosto inutile di ricostruire le ragioni di un atto che resterà sempre, in fondo, incomprensibile.

SOLLIEVO? – Lascio ad altri questo lavoro perché per una volta voglio rivolgere il mio sguardo a chi, comunque, bene o male resta in questa terra. Parlerò quindi con dolore e con rabbia, parlerò forse da psichiatra, ma anche e soprattutto da madre, da essere umano. E per una volta voglio togliere a forza i riflettori su chi si rende tragicamente protagonista ma voglio illuminare con la discrezione di una candela coloro che del protagonismo avrebbero fatto molto volentieri a meno. Mi son spesso sentita dire, da parte di persone con ideazione suicidaria, che la loro morte sarebbe stata un sollievo per tutti coloro che ruotavano loro intorno. Ebbene, con tutto il rispetto che ho nei confronti di una sofferenza tanto intensa da portare a questa decisione, lasciatemelo dire chiaramente: questa è una stronzata bella e buona. E per giunta è una stronzata banale e priva di originalità. Ogni essere umano è legato agli altri da fili sottili ma molto resistenti, fili costituiti da affetti, emozioni, ricordi, bagagli di vita anche nel caso di vite molto giovani. Ciò che capita ad uno di noi si ripercuote inevitabilmente su tutti gli altri, a volte strattonando violentemente questi fili, mettendoli in tensione e magari spezzandoli.

LE RAGIONI – Ho visto gli occhi di una madre spalancati, asciutti, che chiedevano morte prima ancora di domandar risposte, gli occhi di un padre ormai privi di luce, pieni solo di lacrime salate. Ho ascoltato parole di un amico, lente e solenni, pesanti come macigni. Parole che, cosa ormai rara in questa società dove tutto viene reso banale, acquistano d’improvviso significato, vengono pronunciate gravandole di tutto il loro valore. Ho percepito in parenti, vicini di casa, conoscenti, una profonda e insanabile lacerazione nelle anime, ormai perse a cercare qualcosa di viscido e sfuggente, sottile e velenoso com’è “le ragioni”. Ora questi fatti recenti hanno fatto esplodere in me qualcosa di indefinibile, accumulato in anni di lavoro, durante i quali ho fatto da contenitore non solo del dolore di chi se ne vuole andare (e che qualche volta se n’è andato davvero) ma anche di chi resta, di chi dopo 10, 20 anni continua a percepire la propria anima strappata, al di là delle stratificazioni che la vita inevitabilmente accumula. Ho visto figli di uomini e donne suicidi che, arrivati ad un certo punto nella vita, decidono di seguire a loro volta la strada paterna o materna, tant’è violenta e insanabile la frattura creata.

FILI SPEZZATI – All’improvviso un vortice risucchia queste anime, le spezzetta, le mastica, le sputa, le ri-inghiotte, le frantuma, le rimastica e le risputa in un processo destinato a non interrompersi mai. Un continuo e inarrestabile movimento che sfianca anima, mente e corpo, dal quale si cerca di difendersi, il cui dolore si cerca quotidianamente di allontanare, di coprire, di anestetizzare moltiplicando impegni o rivolgendosi a forme più o meno ortodosse di spiritualità, destinate il più delle volte a trasformarsi in ossessivo fanatismo. E questo processo si scarica pesantemente sulle generazioni a venire, inconsapevoli contenitori di un dolore di cui ignorano l’esistenza, costituendo una tensione dei fili che si estende non solo nellospazio a anche nel tempo. Nel nostro essere comunque e sempre legati ad ogni Uomo (e, oserei dire, all’Universo intero), nulla di ciò che facciamo resta senza conseguenze. L’esempio del sasso gettato nello stagno e dei cerchi da esso prodotti non rende abbastanza l’idea. Le interferenze create dai nostri gesti hanno innumerevoli dimensioni, e la nostra vita trascorre troppo spesso nella superficiale, colpevole inconsapevolezza di questo processo. E se questo è vero anche per i piccoli gesti quotidiani, quanto diventa grave quando le nostre azioni tagliano a fette, violentano, lacerano!

CON GLI OCCHI DI CHI – Ed ora che, nella mia incapacità di restare “professionale” di fronte a questi eventi, vivo queste morti attraverso gli occhi di chi rimane, lasciatemelo dire con tutta la forza che mi rimane che comunque al di là di ciò che il diretto interessato all’interno della sua personale sofferenza è propenso a credere, il suicidio è e resterà sempre una grande vigliaccata.

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