Luke Perry è morto, Keith Flint è morto e nemmeno il giornalismo se la passa tanto bene

Adriano Celentano continua a propinarci cartoni animati con le sua eroiche gesta giovanili, Claudio Baglioni presenta il Festival di Sanremo e Al Bano ci delizia con le sue opinioni politiche sovraniste. No, non riusciamo a liberarci degli anni Settanta e Ottanta, figuriamoci se son morti gli anni Novanta.

Ieri, con la dipartita di due star della cultura popolare di due decenni addietro, Keith Flint dei Prodigy e Luke Perry, star di Beverly Hills 90210, sulle bacheche social dei giornali c’è stato un’esplosione di articoli, meme e immagini commemorative che salutavano, con accorata nostalgia, la fine di un decennio: gli anni Novanta. Articoli accorati e condivisi senza sosta: decine di migliaia i like, le condivisioni e i commenti. A essere onesti e cinici – come il mestiere impone – le morti di ieri sono servite alle redazioni a capitalizzare, con minimo sforzo, la nostalgia di una generazione, che – casualmente ma non troppo – passa gran parte del suo tempo sui social network.

Giornalismo o marketing per la morte di Luke Perry?

Fare sentiment analysis è uno strumento di marketing digitale perfetto. Permette, grazie all’utilizzo dei social network, di capire quale sia l’opinione pubblica dominante riguardo un dato problema. Così, dare risposte accondiscendenti, diventa semplice ed efficace: il consenso aumenta perché la risposta fornita è quella che il pubblico desidera. Per politici e pubblicitari questo strumento è decisamente una manna dal cielo, ma per i giornalisti?

Assecondare la nostalgia di una generazione per aumentare il traffico delle pagine di un sito può essere un’ottima strategia di marketing, ma nulla di più. Gli innumerevoli articoli dedicati alla morte degli anni Novanta di ieri non hanno fatto altro che assecondare la mestizia di un target social, quello dei millenials, e capitalizzarlo per aumentare consenso e incassi pubblicitari, nulla di più. Approfondimenti e opinioni di vista alternative manco a pagarle.

La Sentiment Analysis è uno strumento per i giornalisti?

Quello che stupisce delle reazioni delle redazioni è proprio questa necessità di assecondare il pubblico piuttosto che raccontargli una realtà che non necessariamente è quella che l’opinione pubblica percepisce. Così come non c’è nessuna emergenza migranti, così non sono neppur morti gli anni Novanta, anzi! Invece di raccontare come numerose star di quel periodo abbiano ritrovato una nuova giovinezza, le redazioni hanno lisciato il pelo al loro pubblico per aumentare il traffico nel sito. Gli Smashing Pumpkins hanno pubblicato un nuovo album e saranno in tour insieme a Noel Gallagher, David Duchovny ha un gruppo musicale e i fan di Trainspotting hanno ricevuto il sequel che si aspettavano.

Nei programmi televisivi nostrali non riusciamo ancora a far a meno delle comparsate di Raffaella Carrà, Patty Pravo, Anna Oxa, Albano, De Sica e Boldi, figuriamoci se possiamo sostenere che gli anni Novanta siano morti. Il rischio non è la dipartita della cultura popolare di una generazione: a repentaglio, oggi, è piuttosto il giornalismo e la sua pretesa di raccontare la realtà nelle diverse sfaccettature che la compongono. Continuando a seguire i trend social le redazioni si riempiranno di addetti stampa, ma il mestiere del giornalista non è questo. O almeno non dovrebbe esserlo.

 

(Immagine di copertina: foto promozionale della sit-com Beverly Hills 902010 © Globe Photos/ZUMApress.com)

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