Anche la Marina italiana utilizza gasolio di contrabbando prodotto dalle milizie libiche

19/11/2018 di Enzo Boldi

«Inconsapevolmente» è l’avverbio da utilizzare nei confronti di questa delicata questione. Si tratta del fatto che la Marina militare italiana, per le sue navi, abbia utilizzato del gasolio proveniente da affari illeciti e di contrabbando gestito anche dalle milizie ribelli libiche. La storia è stata portata alla luce da un’inchiesta di Report (in onda questa sera su RaiTre) che ha evidenziato come – da indagini della Guardia di Finanza italiana – alcune multinazionali del petrolio abbiano fatto affari con i terroristi, non seguendo la normale filiera del commercio della benzina.

Come riporta Il Corriere della Sera, l’affare – sulla sponda italiana – riguarda principalmente il porto siciliano di Augusta (Siracusa), dove gli uomini delle Fiamme Gialle hanno approfondito i crismi di questa indagine che vede coinvolti contrabbandieri maltesi (il tramite di questo commercio illecito), alcuni clan nostrani e diverse multinazionali dedite alla produzione, raffinazione e messa in vendita del petrolio nel nostro Paese (e non solo).

L’inconsapevole gasolio di contrabbando utilizzato dalla Marina

E da qui è emerso come anche la Marina militare italiana, inconsapevolmente, abbia rifornito le proprie navi in giro per il Mediterraneo con del gasolio di contrabbando, proveniente dai traffici illeciti portati avanti da alcuni contrabbandieri maltesi, vere figure di collegamento tra le milizie libiche e le aziende petrolifere che da loro hanno riempito i propri serbatoi. Nell’inchiesta si parla del coinvolgimento di grandi realtà internazionali come Q8, Tamoil e Api, come raccontato dal giornalista di Report Giorgio Mottola nella sua video-inchiesta che ha riportato anche la testimonianza di un broker italiano.

La norma del governo Monti sulla liberalizzazione

La causa di tutto ciò, racconta Il Corriere della Sera, è l’atteggiamento legislativo sbagliato portato avanti dallo Stato italiano, con Lorenzo Cremonesi che scrive: «Oggi se il ministro dell’Interno italiano si desse una mossa è calcolato che potrebbe recuperare oltre 6 miliardi di euro di evasione. A facilitare l’illecito fu la norma del governo Monti che liberalizzava i contratti tra compagnie petrolifere e gestori delle pompe. Risale ad allora il boom dell’export di greggio siriano che tra il 2013 e la fine del 2016 era controllato dall’Isis ed esportato in Turchia. Ora è il turno del greggio libico».

(foto di copertina: ANSA / UFFICIO STAMPA MARINA MILITARE)

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