Dopo il pride, l’evitabilissima analisi di Vittorio Feltri su come chiamare i gay

10/06/2018 di Redazione

Sabato 9 giugno a Roma si è tenuto il Gay pride 2018. Un momento di festa e di orgoglio che, per alcuni, rappresenta ancora una profonda fonte di mistero.

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Tra questi c’è Vittorio Feltri, il giornalista di Libero famoso per i suoi editoriali impepati di varie polemiche, che in un lungo articolo esprime più di un dubbio sui vari modi di chiamare i gay. Non le lesbiche e i trans, solo i gay.

Gay Pride Roma, l’editoriale di Vittorio Feltri

Nonostante dichiari di avere molti amici “dell’altra sponda”, Feltri vorrebbe liberalizzare l’uso delle parole sdoganando termini come “froci” o “finocchi” chiedendosi come mai, oggi, sia quasi un vanto esserlo:

Una volta era severamente vietato essere frocio. Ricordo che, quando ero un ragazzo, in alcuni cinema non era raro che nel bel mezzo del film si sentissero volare ceffoni e cazzotti, allora si capiva che qualche signorino aveva allungato un po’ troppo la mano, tuttavia non sulla signora che gli stava accanto, bensì sul signore. Il giovane, reo di avere provato a ravanare un altro uomo con la complicità delle luci basse, veniva affidato quindi alle forze di polizia e lo si guardava con disprezzo, perché essere froci era non solo una vergogna, ma addirittura un turpe reato, un abominio, per quanto questo oggi ci sembri inconcepibile.

Gay Pride, Feltri e come chiamare i gay

L’editoriale, che apre in maniera apertamente maschilista, continua in seguito con una “profonda” riflessioni sull’utilizzo di alcuni epiteti:

I busoni mi piacciono, sebbene non sia ricchione. Ho un animo frocio, anche se non tradirei mai la patata cui giurai devozione eterna. Sono appena riuscito ad inserire due parole vietate in una stessa frase, basta questo a fare di me un sovversivo. Ad ogni modo, oggi le cose non vanno molto meglio rispetto al passato. Sì, va bene, non è più divieto essere ricchione, però adesso, anzi già da un po’, “frocio” è severamente vietato dirlo. Si può finire in galera. Insomma, non è un reato prenderlo nel posteriore (anche perché altrimenti le carceri scoppierebbero), ma è un reato la parola.

Bastano questi due passaggi per capire l’andamento dell’articolo. Feltri, da persona intelligente qual è, dovrebbe sapere benissimo che l’utilizzo di “frocio”, “ricchione”, “culattone” non è un reato e non c’è alcun tipo di censura nel loro utilizzo.

Il problema, tuttavia, resta proprio quell’utilizzo. Non tutti in questo mondo, e soprattutto in Italia, hanno una mentalità “aperta” come lui stesso sostiene.

Se quelle parole hanno a che fare con un pensiero profondamente omofobo, ecco che da termini frivoli si possono trasformare in concetti discriminatori. Semplice.

(Foto credits: Ansa)

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