Facebook e il ceo Zuckerberg ‘distrutto’ dalle criticità del social

Due anni da disastro per Facebook, con i dipendenti che ammettono l’enorme pressione sentita dal ceo e fondatore Mark Zuckerberg per le questioni legate alla privacy, alle fake news e altre criticità del social network che in precedenza erano state ignorate. Lo racconta la rivista americana Wired in un lungo reportage realizzato con la testimonianza di molti addetti della piattaforma e ricostruendo tutte le scelte adottate dai vertici da inizio 2016, dall’allarme per la diffusione delle bufale ai tentativi di superare l’ostacolo. «Dentro i due anni che hanno scosso Facebook e il mondo», è il titolo di un lungo lavoro a firma Nicholas Thompson e Fred Vogelstein.

Facebook e il concetto di neutralità quasi ‘religioso’

Uno dei problemi maggiormente evidenziati è il fatto che Facebook non abbia mai pensato attentamente di diventare una forza dominante nel settore delle notizie. Tutti i dirigenti si sono concentrati negli anni più alle regole per eliminare la pornografia ed altri contenuti inadeguati o per proteggere il copyright che a discutere delle domande che tormentano il mondo dei media. Gli operatori dell’informazione si pongono continuamente domande su notizie, analisi, satira, opinione, mentre Facebook ha pensato a lungo di tenersi alla larga dai dibattiti ritenendo di essere solo una società tecnologica che offre una piattaforma per la condivisione delle idee. L’idea della piattaforma aperta e neutra – ha raccontato Wired – è considerato quasi un principio religioso all’interno dell’azienda californiana. Quando arrivano nuove reclute, vengono coinvolte in una conferenza di orientamento che spiega che Facebook è una piattaforma di comunicazione completamente nuova per il 21esimo secolo, come lo era il telefono nel 20esimo. Un’idea che tiene contro anche e soprattutto della sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, la legge che stabilisce che nessun fornitore di contenuti o utente online può essere considerato editore o diffusore di informazioni fornita da un altro fornitore di contenuti. La scelta è stata quella di non favorire nessun tipo di contenuto di notizie rispetto a un altro: la neutralità più radicale. Il social network ha offerto ogni contenuto sul news feed degli utenti senza distinzione tra l’immagine di un cane o una notizia, tra inchieste del Washington Post o pettegolezzi del New York Post o post di giornali di bufale.

Facebook e l’esplosione delle criticità

Il primo piccolo allarme spuntò nel febbraio 2016, quando Roger McNamee, uomo d’affari, uno dei primi investitori a scommettere su Facebook, e che oggi di dice molto critico per l’impatto del social network sulla società e sulla democrazia, notò sulla piattaforma delle strane cose legate alla campagna delle primarie democratiche di Bernie Sanders: dei meme organizzati e diffusi in modo tale da suggerire che qualcuno avesse investito un rilevante budget. McNamee non disse nulla all’azienda in un primo momento ma quella da lui notata era la prima avvisaglia di una tendenza che sia sarebbe via via intensificata. Anche la società non raccolse segnali tanto preoccupanti, a inizio 2016, anche se il team di sicurezza notò un aumento degli attori russi che tentavano di rubare le credenziali di giornalisti e personaggi pubblici. Facebook ne parlò con l’Fbi, senza ricevere risposte in seguito. In primavera furono poi i media ad alzare l’attenzione sul sospetto di parzialità e antidemocraticità di Facebook. Divenne virale un articolo di Gizmodo sul pregiudizio politico del team dei Trending Topics, ed esplose come una bomba a Menlo Park. Facebook fu scosso, e fu scosso anche dalla lettera di John Thune, un senatore repubblicano del Sud Dakota, che seguì la pubblicazione della storia e che presiedeva il Senate Commerce Committee, a sua volta sovrintendente alla Federal Trade Commission, agenzia particolarmente attiva nelle indagini su Facebook. Il senatore voleva le risposte di Facebook alle accuse di parzialità, prontamente.

Facebook e le nuove responsabilità da ‘editore’

Domande, quelle rivolte a Facebook, che non sempre hanno trovato una risposta esaustiva. Nemmeno oggi, a due anni di distanza, con la società che continua a trovarsi al centro di critiche. Persone che conoscono Zuckerberg lo descrivono come davvero alterato negli ultimi mesi, impegnato e preoccupato per la risoluzione dei problemi. Un dirigente d’azienda ha spiegato che l’ultimo anno ha cambiato radicalmente il suo «ottimismo tecnologico», lo ha reso «paranoico sul modo in cui le persone potrebbero abusare di quello che ha costruito». Lui, diventato uomo simbolo della nuova era del web, sarebbe stato costretto perfino a modificare la sua personale concezione di Facebook, su quanto il social network sia editore e quanto piattaforma. L’azienda ha sempre risposto in modo netto definendosi una piattaforma, senza se e senza ma, per ragioni normative e finanziarie soprattutto ma anche emotive. Ma è la stessa società a rendersi conto oggi – conclude Wired – che ha alcune responsabilità tipiche di un editore, quella dell’attenzione da rivolgere lettori e della ricerca della verità. Facebook e Zuckerberg hanno capito che non si può rendere il mondo più aperto e connesso se lo si distrugge. Editore o piattaforma, dunque? Facebook probabilmente comprende ora che ha una duplice ruolo. Le modifiche all’algoritmo che tendono a penalizzare la pubblicazione di contenuti falsi, la promozione di editori dai contenuti più affidabili, informativi o locali, il nuovo news feed che premia le interazioni, i sondaggi per i lettori, vanno tutti in quella direzione.

(Foto Zumapress da archivio Ansa. Credit: Lino De Vallier / Xinhua via ZUMA Wire)

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