Malattie coronariche: la spia è l’infiammazione

04/12/2017 di Redazione

Spezzare il ‘fil rouge’ che collega l’infiammazione alle malattie di cuore: è la nuova via indicata dalla ricerca per cercare di colpire il big killer numero uno «in Europa come negli Stati Uniti, dove un uomo o una donna su 2 ancora oggi muore per patologie cardiovascolari, e un uomo o una donna su 5 muore per malattie coronariche. La prima causa di decesso e di ospedalizzazione resta di gran lunga questa». Ma per contrastarla sul fronte della prevenzione secondaria, rivolta ai pazienti già sopravvissuti a un evento, «servono nuovi approcci perché con quelli seguiti finora abbiamo già ‘grattato il fondo’». Lo spiega – ad Adnkronos – Filippo Crea, ordinario di Cardiologia all’università Cattolica di Roma e direttore del Polo di Scienze cardiovascolari e toraciche della Fondazione Policlinico universitario Gemelli della Capitale.

Parlando all’AdnKronos Salute in occasione del convegno ‘ Armonizzare la ricerca e la pratica clinica per migliorare la prevenzione delle malattie cardiovascolari’ (Milano, 24-25 novembre), lo specialista ha ripercorso la storia del legame fra malattie cardiovascolari e infiammazione. Un cammino che parte da lontano e che 23 anni fa lo ha visto protagonista della scena mondiale insieme al suo gruppo. «Per primi, nel 1994 – ricorda – abbiamo dimostrato che almeno in alcuni pazienti le sindromi coronariche acute sono associate a un improvviso aumento della proteina C-reattiva», ‘spia’ di infiammazione fra le più note.

Se è vero cioè che «l’infiammazione – precisa Crea – è collegata allo sviluppo dell’aterosclerosi fin dalle sue prime fasi», perché sono gli stessi fattori di rischio cardiovascolari a richiamare in loco «le cellule infiammatorie coinvolte nella placca aterosclerotica fin dall’esordio», l’infiammazione può anche fare la differenza tra la vita e la morte. In particolare fra una placca aterosclerotica che resterà per sempre stabile, dunque silente, e una che invece diventerà instabile fino a scatenare la formazione di un trombo e provocare ad esempio un infarto.

Il trial, di fase clinica III, presentato all’ultimo Congresso annuale della Società europea di cardiologia (Esc), è stato condotto per 6 anni su oltre 10 mila pazienti con aterosclerosi reduci da infarto miocardico acuto e con un livello di proteina C-reattiva ad alta sensibilità. In combinazione con terapia standard, iniezioni trimestrali di canakinumab hanno ottenuto rispetto al placebo una riduzione significativa del 15% degli eventi cardiovascolari maggiori che comprendono infarto non fatale, ictus non fatale e morte cardiovascolare. Il farmaco, un inibitore selettivo e a effetto prolungato dell’interleuchina-1beta, ha inoltre diminuito la mortalità per tumore polmonare.

(articolo in collaborazione con Adnkronos. Immagine generica di un intervento in sala operatoria. Foto da archivio Ansa)

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