Il coraggio di Carolina, la figlia di David Rossi: «Rispondano con i fatti non con comunicati stampa»

06/11/2017 di Redazione

«Penso che la procura debba rispondere con i fatti, non con i comunicati stampa». Carolina Orlandi, figlia della moglie di David Rossi, non si è mai arresa alle archiviazioni che danno suo padre, capo comunicazione dei Monti dei Paschi di Siena, come suicida.  La ragazza, intervistata da Le Iene, non ce l’ha con la procura ma con quello che non è stato fatto finora. «Quello che è stato fatto oggi è stato viziato. Dall’inizio si è partiti dal suicidio. Sono state fatte delle perizie dopo tre anni  e mezzo dalla morte. Quindi – ha spiegato la giovane – o si parla di suicidio per mancanza di prove oppure scrivano nero su bianco “non si può sapere perché non sono state fatte bene le indagini”». I vestiti di David Rossi non sono mai stati sequestrati per un esame del Dna, per esempio. Nel comunicato in cui la procura difende il suo lavoro (due archiviazioni per suicidio sulla morte del manager) si ammettono critiche ex post. Critiche che, per esempio, partono anche dagli esami istologici, mai fatti, sulle ferite presenti sul corpo del suicida.

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Scrive la procura: «Ragionando ex post la critica è condivisibile. Bisogna però calarsi nel contesto iniziale quando appariva a tutti chiaro l’evento suicidario, la cui prova determinante era costituita: dalle lettere d’addio, dagli esiti dell’ispezione medico-legale e dalla relazione autoptica, dall’assenza di tracce di colluttazione o di terzi nell’ufficio da dove il Rossi è precipitato…». Carolina Orlandi però replica: «Un magistrato non può dire a priori: ‘Quello si è buttato dalla finestra’». Sul corpo di Rossi ci sono lesioni sul naso e alla bocca, ma il corpo, al suolo, è impattato col bacino. Non c’è mai stato un esame istologico su quelle ferite e non si può quindi capire quando David se le sia procura. Prima o dopo esser caduto dalla finestra? La procura di Siena, in merito, ha ammesso: «Certamente su queste lesioni si può dire che non vi è stato un accertamento medico-legale adeguato».

C’è infine un altro elemento, non da poco. I fazzoletti di carta sporchi di sangue presenti sul luogo del suicidio e distrutti anch’essi prima di essere esaminati. «Appare ovvio – spiega la Procura – dire che con il senno di poi poteva essere utile il mantenimento in sequestro dei fazzolettini di carta, ma c’è da chiedersi, prima di farne diventare un caso determinante per le sorti di un’indagine, quale peso avrebbe potuto avere l’eventuale loro analisi». Quei fazzolettini sarebbero potuti essere la prova di una eventuale colluttazione dentro l’ufficio di David Rossi. Si sarebbe potuto risalire o verificarne il Dna presente. Ma se non si cerca, si sa, non si trova.

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DAVID ROSSI, LE IENE E IL DIRITTO A PROTEGGERE LE PROPRIE FONTI

La Procura di Genova, dopo il lavoro de Le Iene, ha aperto due nuove indagini sulla morte di David Rossi. Una per diffamazione su denuncia dei magistrati senesi che hanno sporto querela dopo l’intervista di Piccini e una d’ufficio per il reato di abuso d’ufficio, che potrebbe riguardare i magistrati senesi. Per entrambe le inchieste dalla procura sono stati emessi due provvedimenti di sequestro di tutto il materiale filmato originale girato sul caso Rossi. Niente beep, niente oscuramenti, la redazione Mediaset e il giornalista Antonino Monteleone hanno dato la loro massima disponibilità. A un patto però. Monteleone si è rifiutato di consegnare parte del girato che farebbe compromettere due fonti anonime e il fuori onda della testimone mai sentita, la segretaria di Viola Lorenza Pieraccini. Questo perché, specialmente quest’ultima, racconta cose che hanno a che fare con la sfera privata dei protagonisti di questa storia e il giornalista ha opposto il segreto professionale alla Procura di Genova. La procura infatti aveva mandato la Guardia di Finanza a sequestrare i filmati a Cologno Monzese. Alla Procura starà bene il rifiuto opposto da Monteleone? Chissà. Intanto non è ancora chiaro cosa potrebbe uscire o meno nella cosiddetta villa dei festini fra Siena e Arezzo. Qualcuno (una avvocatessa con il marito nei servizi) suggerì a Piccinini di puntare su quel luogo, dove si faceva uso anche di stupefacenti, per far scoppiare un bomba morale. Una bomba che avrebbe pesato aldilà dell’esito del lavoro della magistratura. Le dichiarazioni dell’ex sindaco di Siena hanno provocato quel duro comunicato della procura. Comunicato in cui però si fa un mea culpa. Su indagini che ora vanno riviste dalla procura di Genova.

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