Federico, un uomo di 30 anni condannato dalla malattia a rimanere bambino

28/07/2017 di Redazione

Avere 30 anni ma mantenere l’aspetto di un bambino. Essere un adulto condannato a non svilupparsi per una rara malattia. È la difficile condizione di Federico, un paziente varesino che dal 1987 ad oggi ha trascorso gran parte del suo tempo in ospedale e negli studi medici e che oggi fa sentire la propria voce attraverso le parole del padre. Giorgio Arca, questo il nome del genitore, ha scritto una lettera aperta alla stampa locale per raccontare la vita del figlio, sollevare l’attenzione su chi si trova in una sua simile situazione, «sottolineare che la sanità non è un favore, ma un diritto di tutti».

FEDERICO, LA LETTERA DEL PADRE PER CHIEDERE DI RESTARE IN PEDIATRIA

In particolare, in un missiva inviata al quotidiano La Provincia di Varese, papà Giorgio si è mostrato preoccupato per i «cavilli» che possono portare Federico via dal reparto di Pediatria dove è ricoverato e ha chiesto un adeguata tutela per tutti gli ospedali della zona. Il suo ragazzo pesa solo 28 chili, si nutre con un sondino, ha bisogno di assistenza quotidiana. La sua malattia è talmente rara che la casistica è minima. Il sostegno delle strutture sanitarie è vitale. «Mi chiamo Federico, ma per tutti sono Chicco», si legge ad inizio lettera. «Non parlo, non cammino, sono nutrito da un sondino nasogastrico. Ho passato molti giorni della mia vita in ospedale, in Pediatria. Qualche volta il mio intestino fa i capricci e devo essere operato d’urgenza. Resto qualche giorno in Chirurgia e poi via… di corsa in Pediatria, che è ormai la mia seconda casa». L’ultima volta è successo pochi giorni fa – dice ancora il paziente attraverso il padre – «ma questa volta c’è stato un problema». «Sabato avrei dovuto tornare dalla Chirurgia alla Pediatria, ma ho capito che qualcuno, improvvisamente, non voleva più farmi andare lì».

 

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Federico vive di fatto all’ospedale Del Ponte di Varese. Gli interventi al Pronto soccorso e in sala operatoria, sono numerosi, frequenti. E puntualmente seguiti da un lungo recupero. La data di nascita indicata sulla sua carta d’identità dice che nel reparto di Pediatria non ci
può più restare, andrebbe trasferito altrove. Per anni i medici hanno chiuso un occhio attenendosi a una lettera firmata da un ex primario che ordinava di portare Federico in Pediatria ogni qualvolta si fosse presentato al Pronto soccorso. E così è stato fino ad oggi. Ma i timori restano: se è vero che i medici restano ancora vicini al paziente e alla sua famiglia è anche vero che la legge non è chiara su casi come il suo. Ne parla oggi Il Giornale. Per casi come quello di Federico non esiste una rete assistenziale organizzata. In attesa di una soluzione definitiva il primario garantisce che verrà fatto di tutto assistere Federico e che verrà spostato dalla Pediatria solo quando ci saranno le condizioni ottimali per farlo. Un’idea è quella di trasferirlo in una sezione del reparto di Medicina interna, dove vengono curati gli adulti, creando intorno a lui un team di medici internisti, pediatri e infermieri che continuino a curarlo come sempre. È la speranza di Federico. Sono tornato in Pediatria «ma la prossima volta non so che succederà», ha raccontato nella lettera papà Giorgio.

(Foto generica: ANSA / FRANCO SILVI)

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