Italcarni, il pm vuole stabilire un legame tra i maltrattamenti agli animali e la carne infetta

Potrebbe aprirsi un nuovo scenario sulla vicenda Italcarni. Secondo quanto appreso in esclusiva da Giornalettismo, il pm della procura di Brescia Ambrogio Cassiani ha annunciato ricorso contro la decisione di assolvere le persone coinvolte nel processo (che si era concluso con la condanna del proprietario del macello Federico Osio, dei suoi collaboratori e di due veterinari) dall’accusa di mettere in commercio carne infetta, in seguito ai maltrattamenti sulle vacche al macello.

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LA VICENDA ITALCARNI, UNA STORIA DI MALTRATTAMENTI E CARNE INFETTA

Le condanne, infatti, si basavano esclusivamente sui maltrattamenti subiti dagli animali ed erano arrivate al termine di un processo partito dalle immagini registrate dalle telecamere nascoste dalla procura di Brescia e mandate poi in onda su Servizio Pubblico. La trasmissione aveva mostrato come venivano macellate le mucche in quello che è stato poi ribattezzato «il macello degli orrori di Ghedi», in provincia di Brescia: in quella circostanza, l’amministratore di Italcarni saliva su un camion, legava le zampe di una mucca con una catena; poi, con l’aiuto di un muletto, la scaricava da un camion, la trascinava a terra e la depositava davanti alla porta di un macello.

ITALCARNI, GUARDA IL VIDEO DEL MACELLO DEGLI ORRORI

Una pratica brutale e scorretta da un punto di vista legale. La mucca in questione, infatti, era una delle cosiddette «mucche a terra», sfruttate fino in fondo dagli allevatori al punto da non riuscire più a camminare e nemmeno a stare in piedi. E questo alla media di soli quattro o cinque anni, mentre in natura ne vivrebbero venti.

Federico Osio aveva patteggiato una condanna a 2 anni e otto mesi, i suoi operai erano stati condannati rispettivamente a un anno e 10 mesi e a un anno e otto mesi. I due veterinari della Asl di Brescia, invece, erano stati condannati a due anni per maltrattamenti sugli animali, falso in atti pubblici e minacce. 

L’azienda, inoltre, era stata sanzionata ed era stata vietata la macellazione per sei anni. Tuttavia, con un espediente, l’esercizio continua a funzionare: Italcarni, infatti, ha cambiato nome ed è diventato di proprietà della madre e della ex moglie di Federico Osio. In questo modo, l’azienda ha aggirato il divieto, continuando a lavorare regolarmente. Sulla vicenda, il clamore mediatico era stato notevole.

Anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin era intervenuta in proposito, sollecitata dalla richiesta d’intervenire da parte della Lav e da una petizione firmata da 150mila cittadini su Change.org, promossa dalla giornalista Giulia Innocenzi che aveva seguito la vicenda, in cui si chiedeva l’apertura di una commissione di inchiesta per fare chiarezza su quanto avvenuto nell’azienda. Il ricorso del pm Cassiani potrebbe aprire un nuovo fronte nel processo. Innanzitutto metterebbe in luce il fatto che nel macello veniva prodotta carne infetta sistematicamente (nel corso del processo, questo aspetto venne contestato e circoscritto soltanto a una sporadica circostanza di campionamento), ma soprattutto renderebbe evidente il legame tra maltrattamento degli animali e produzione di carne infetta.

Legame che negli Stati Uniti è già piuttosto evidente: nel 2010, infatti, venne ritirata dal mercato la carne dei bovini seviziati, perché lo stress a cui erano stati sottoposti andava a inficiare la qualità del prodotto, attraverso la produzione di ormoni come adrenalina e cortisolo. Una eventuale sentenza del genere anche in Italia, nel suo piccolo, sarebbe davvero storica.

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