Gli tolgono l’affidamento del bambino e lo mandano in una casa famiglia. Il papà: «Ho provato rabbia e impotenza» | VIDEO

Non si dà pace il papà del bambino che è stato dato in affidamento a una casa famiglia. Ricorda le grida e i pianti del figlio, mentre circa dieci operatori lo allontanano da quelle braccia in cui si sente al sicuro. Un video, diffuso in rete nei giorni scorsi e poi rimosso nell’interesse del bambino, mostra la scena. Dietro al dramma di un’intera famiglia c’è sì una storia difficile. Ma che provvedimenti come questo rischiano di far diventare ancora più insostenibile.

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LA STORIA DELL’AFFIDAMENTO BAMBINO A CASA FAMIGLIA

Olbia, Sardegna. Alle spalle del bambino, ci sono dei genitori separati. Il padre si prende cura di lui e cerca di garantirgli un’esistenza normale. Nei confronti della figura materna, assente dalla vita del piccolo, il bambino ha sviluppato una sorta di rifiuto. In questo contesto delicato, arriva il provvedimento del Tribunale di Tempio Pausania: il papà – sulla base di una perizia – viene considerato pericoloso per l’incolumità del bambino, viene addirittura ritenuto in grado di poterlo uccidere. Per la giustizia, insomma, non sembra esserci strada diversa dell’affidamento a una casa famiglia.

Siamo nel mese di febbraio. Gli operatori dei servizi sociali portano via il bambino. Fanno tantissima fatica, perché il piccolo non vuole separarsi dal papà. Piange, grida. E chiede scusa perché crede di aver fatto qualcosa di sbagliato.

«Un provvedimento ingiustificato – sostiene il padre, contattato da Giornalettismo -: per un genitore vedersi strappare un figlio è indescrivibile come situazione. C’è rabbia e sensazione di impotenza, la frustrazione nel vedere il tuo cucciolo dilaniato psicologicamente da un evento del genere. Il tuo bambino che hai cresciuto nel rispetto e nell’amore di sé e del prossimo: si vede, se vogliamo usare il termine, tradito da chi gli è sempre stato vicino». 

GUARDA IL COMMOVENTE APPELLO DEL PAPÀ DEL BAMBINO

AFFIDAMENTO BAMBINO IN ITALIA: QUALI SONO I PROBLEMI

Ma come si è arrivati a questa situazione? Lo spiega la Onlus Comitato dei cittadini per i diritti umani, attraverso il responsabile della tutela dei minori Paolo Roat: «Siamo di fronte all’ennesimo caso in cui un tribunale decide sulla esclusiva base di una perizia, senza nessuna reale istruttoria. In Italia si verificano tanti casi del genere. Quello di Olbia è emblematico: chiediamo che questo bambino possa avere giustizia». La decisione del tribunale, secondo la Onlus, è contraria alla sentenza della Cassazione n. 6919 dell’8 aprile 2016. In base a questo provvedimento, infatti, quando un genitore denuncia un altro genitore di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, «il giudice è tenuto ad accertare i fatti basandosi sui comuni mezzi di prova». Della serie, non basta una semplice perizia psichiatrica.

Intanto il tempo passa. Ogni istanza di riportare il bambino a casa viene rigettata dal Tribunale di Tempio Pausania. Il piccolo non torna a casa da più di tre mesi e vede il padre solo raramente, con lunghi intervalli di tempo tra una visita e l’altra. La struttura che lo ospita – e che ha presentato diverse relazioni circa il suo stato di salute – evidenzia come il bambino stia bene, ma soffra tantissimo l’allontanamento dal genitore. Una sofferenza che si manifesta con incubi notturni e con un profondo senso di nostalgia. Nei prossimi giorni verrà presentata una quarta istanza e il padre del bambino spera che, questa volta, non venga ignorata.

«È stato creato un trauma inutile a un bambino di cinque anni – continua il papà -, che ne ha compiuti sei durante la sua ‘reclusione’ e che abbiamo festeggiato in modalità degne di criminali di massima sicurezza. Questa situazione è contraria a ogni legge e ci vuole maggiore coscienza per gestirla. Chi opera nel campo dei servizi sociali deve capire che questo non è solo un lavoro: si trova a gestire i nostri figli. E deve trattarli come se fossero i suoi». 

(FOTO: fotogramma del video diffuso da CCDU Onlus e poi rimosso dal web)

 

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