Aumento capitale Unicredit: 13 miliardi di motivi, una cosa positiva e tre negative

12/01/2017 di Sisto Cucco

Il prossimo e deliberato aumento di capitale ‘monstre’ da 13 miliardi di euro di Unicredit porta con se una serie di conseguenze positive, che vanno evidenziate, ma anche almeno tre considerazioni amare e in qualche modo negative.

AUMENTO CAPITALE UNICREDIT, COSA C’È DI POSITIVO

Unicredit è una banca sostanzialmente sana, l’aumento di capitale andrà in porto e sarà sottoscritto da soci privati. Poco importa in questa fase, se saranno italiani, francesi o tedeschi. È molto più rilevante, in un momento di mercato difficile e turbolento, sapere che non dovrà intervenire lo Stato e quindi tutti noi italiani, come accadrà con Monte dei Paschi e rischia di accadere con Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.

L’aumento porterà a livelli ‘europei’ il CET1, ovvero l’indice di patrimonializzazione della banca, fatto fondamentale per una istituto di credito considerato sistemico, un Global systematically important financial Institution, che dovrà affrontare nei prossimi mesi altre prove di stress test.

L’aumento pone fine ad una fase di incertezza, inquadrandosi nel nuovo piano 2016-2019, e fa tirare un sospiro di sollievo ad azionisti e top manager. Basti leggere di dichiarazioni del presidente di CaRiVerona, Alessandro Mazzucco – che sembra limerà la sua quota – che ha definito l’aumento indispensabile per il salvataggio della banca, e quelle dell’amministratore delegato Jean Pierre Mustier che ha sottolineato come arrivi in un ‘momento delicatissimo’.

AUMENTO CAPITALE UNICREDIT, COSA C’È DI NEGATIVO

Il momento è davvero delicatissimo per il sistema bancario italiano, nonostante il Ministro Pier Carlo Padoan, per dovere d’ufficio, lo neghi. Lo dimostrano anche alcuni dei numeri annunciati da Unicredit. L’aumento di capitale è necessario anche per sostenere l’impatto di rettifiche su crediti per otto miliardi di euro e la cartolarizzazione di un portafoglio di crediti deteriorati per 17,7 miliardi. Questo significa che i crediti deteriorati o NPL (Non performing loans) continuano ad essere la palla al piede delle banche, che faticano a liberarsene. Un fatto vero a tal punto che in Italia ammontano a circa 400 miliardi, un livello di gran lunga superiore a quello degli altri Paesi Europei.

Inoltre la cronica debolezza della classe politica di questo Paese e la mancanza di un piano industriale fa sì che si lancino affermazioni generiche del tipo ‘stiamo perdendo pezzi importanti del sistema finanziario ed economico italiano’, ma non si faccia nulla in concreto per rimediare a questa situazione, a parte denunciare fantomatici disegni per portare Unicredit in Francia. Siamo il Paese in cui la classe politica usa le banche in maniera populista, dipingendole come il nemico per definizione, senza rendersi conto che il sistema economico nazionale ha bisogno di un sistema bancario sano ed efficiente.

Invece questo sistema è sempre più debole e vulnerabile, schiacciato tra un ritorno economico minimo e richieste sempre più pressanti da parte della Banca Centrale Europea, con Basilea 4 che incombe. Il risultato è che si tagliano i costi da anni. Nei sette anni della crisi, dal 2008 al 2015, il sistema bancario italiano ha perso, tagliato, ben 40mila addetti. Ed è un trend destinato inesorabilmente a continuare. Con il piano industriale Unicredit ha deliberato anche una riduzione di ben 6500 dipendenti, tra prepensionamenti e uscite incentivate. Un prezzo enorme che pagheranno intere famiglie ed il sistema previdenziale italiano. Chi ancora pensa ai bancari come ad una categoria di privilegiati farà bene a ricredersi.

La crisi è qui. Auguriamo quindi successo all’aumento di capitale Unicredit, che a sua volta continuerà così a sostenere un pezzo importante dell’economia nazionale.

(Immagine: screenshot da Unicredit.it)

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