Torino Film Festival 2016: i documentari di TFFDOC

Torino Film Festival 2016 documentari

I documentari saranno, come da tradizione, una parte importantissima del Torino Film Festival 2016. Come sempre divisi tra concorso internazionale, concorso italiano e fuori concorso, a cui quest’anno si aggiunge un programma speciale di sei film tutti dedicati all’amore e che si chiama, ovviamente, TFFDOC/Love.

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Internazionale.doc

ATTAQUE di Carmit Harash (Francia, 2016, file, 75’) Dopo Où est la guerre (TFF33), Carmit Harash continua le sue incursioni parigine alla ricerca di impossibili risposte alla crisi della democrazia europea “sotto attacco”. Il risultato è un musical documentario su secolarismo, uguaglianza e libertà dopo gli attentati in Francia del gennaio 2015.

BOI, SONG OF A WANDERER di Anne Marie Borsboom (Olanda, 2016, DCP, 72’) “E quando si lasciò il passato alle spalle, scoprì che la sua vita stava cominciando”. Questa frase dell’Orlando di Virginia Woolf riassume lo spirito di un film realizzato in dodici anni vagando per il mondo. Una storia che parte da Israele e da considerazioni sulla politica e la religione, per poi trasformarsi nel racconto della lotta interiore di Nitzan, una ragazza ventenne che si sentiva ragazzo.

ERASE EVERYTHING I SAID ABOUT LOVE di Guillermina Pico (Argentina, 2016, file, 62’) “Che importa su cosa sia un film, quale sia il tema, la trama? È sull’amore, il sole, gli alberi, una bella donna, l’estate, un picnic sull’erba” (Jonas Mekas). Questo film è composto da commenti e appunti sulla bellezza dei momenti perduti, l’osservazione dell’identità in perenne mutamento.

HAVARIE di Philip Scheffner (Germania, 2016, DCP, 93’) Il 14 settembre 2012 alle 14.56, la nave da crociera Adventure of the Seas riferisce al centro di soccorso marittimo spagnolo l’avvistamento di un gommone alla deriva con tredici persone a bordo. Un video su YouTube e alcuni racconti biografici contribuiscono a una riflessione sul passato, presente e futuro dei viaggiatori che attraversano il Mediterraneo. In un orizzonte sconfinato composto da acqua e cielo, paure e sogni.

HOUSES WITHOUT DOORS di Avo Kaprealian (Siria/Libano, 2016, DCP, 90’) Al Midan è un quartiere di Aleppo, città di frontiera che un secolo fa accolse gli armeni e che oggi rappresenta un rifugio per molti siriani. Dal balcone di casa sua, il regista con una piccola videocamera riprende le trasformazioni di quel luogo e della sua famiglia. A queste immagini si uniscono quelle estratte da alcuni film che delineano il parallelismo tra il genocidio armeno e la realtà quotidiana dei siriani.

KAZARKEN di Güldem Durmaz (Belgio/Francia, 2016, DCP, 90’) Denis Lavant, nei panni della figura mitologica del centauro Chiron, guida la regista in un viaggio a ritroso alla ricerca delle sue origini. Tra sonno e veglia, la donna, di origine turca, ritrova i ricordi. In questo percorso, lo spazio e il tempo sono frammentati, così come le immagini di cui si alimenta la memoria. È un film personale, intimo, ma attraversato dalla storia collettiva della Turchia.

NANA di Luciana Decker (Bolivia, 2016, DCP, 65’) Una donna decide di filmare la sua tata che vive e lavora nella casa di famiglia di La Paz da più di quarant’anni. La segue nella sua quotidianità domestica, ma anche fuori, in campagna, e nella sua vera casa. Esplorando poco a poco lo spazio tra le due donne, la macchina da presa disegna i contorni di una realtà emblematica della società boliviana, ma anche di un grande amore, e diventa cinema.

RAT FILM di Theo Anthony (USA, 2016, DCP, 82’) Muri, recinzioni e vicoli sono le linee di confine delle nostre città e rappresentano anche i luoghi preferiti dai ratti che vi si stabiliscono come se fossero delle case. Attraverso il pretesto dei topi e delle loro alterne vicende con gli umani – che talvolta li amano, talvolta li accolgono e spesso li uccidono – Rat Film racconta la storia di Baltimora, una città protagonista di tante narrazioni.

SOL NEGRO di Laura Huertas Millán (Francia/Colombia, 2016, DCP, 43’) Il sole nero ha cristallizzato le ultime generazioni della famiglia della regista. La zia Antonia, sorella della madre, è una cantante lirica che viene ricoverata dopo un tentativo di suicidio. Un coro di donne racconta le sofferenze, il senso di colpa, le difficili relazioni familiari e i sentimenti vengono distillati in una storia che diventa musica, autoritratto, realtà e finzione.

SPECTRES ARE HAUNTING EUROPE di Maria Kourkouta e Niki Giannari (Grecia/Francia, 2016, DCP, 99’) La vita quotidiana dei rifugiati nel campo profughi di Idomeni. Persone che aspettano in coda il cibo, il tè e i medici. E soprattutto sono in attesa di attraversare il confine tra la Grecia e la Macedonia. Ma un giorno, l’Europa ha definitivamente chiuso i confini. E i “residenti” di Idomeni hanno deciso, a loro volta, di occupare i binari, bloccando i treni che trasportano le merci passando per quella frontiera.

TCHEKHOV A BEYROUTH di Carlos Chahine (Francia/Libano, 2016, DCP, 51’) Il giardino dei ciliegi messo in scena a Beirut dal regista Carlos Chahine diventa l’occasione per ritrovare un passato svanito, perdendosi nei sentieri dell’infanzia alla ricerca della bellezza che appare tra i fantasmi di un mondo che può essere solo evocato.

Italiana.doc

A PUGNI CHIUSI di Pierpaolo De Sanctis (Italia, 2016, DCP, 74’) La parabola esistenziale di Lou Castel in Italia. Un vissuto “intrappolato” tra due personaggi emblematici: l’Alessandro di I pugni in tasca e il Giovanni di Gli occhi, la bocca. Attraversando una Roma sospesa a metà tra archeologia post-industriale e relitti pasoliniani, Castel si apre a un lungo flusso di (in)coscienza sulla complessità e le contraddizioni del suo ruolo d’attore e, insieme, di militante politico.

AB URBE COACTA di Mauro Ruvolo (Italia, 2016, DCP, 75’) In una Roma decaduta, dove la nevrosi dei tempi moderni si esprime attraverso un umorismo cinico e volgare, Mauro Bonanni, cresciuto nel quartiere periferico di Tor Pignattara, si affaccia alla vecchiaia con profondo disagio esistenziale. Patisce come tanti l’invasione di extracomunitari. Tuttavia questa sofferenza, non ideologica ma esistenziale, si rivela contraddittoria e aperta a soluzioni impreviste.

A BITTER STORY di Francesca Bono (Italia, 2016, Blu-Ray, 53’) Il senso di smarrimento che spesso contraddistingue l’adolescenza si accentua ancor più quando questa è vissuta lontano dal paese di origine. A Barge e Bagnolo, due piccoli comuni ai piedi delle Alpi torinesi, negli ultimi anni sono stati molto frequenti i ricongiungimenti familiari di ragazzi e ragazze cinesi. La macchina da presa costruisce delicati ritratti di adolescenti alla ricerca di un’identità, attraversati da momenti di sospensione dove lo spaesamento prende il sopravvento.

HIDDEN PHOTOS di Davide Grotta (Italia, 2016, DCP, 68’) Kim Hak, giovane e talentuoso fotografo cambogiano, cerca un nuovo immaginario per il suo paese. Nhem Ein, fotografo di regime dei Khmer Rossi e autore di circa 14.000 immagini delle vittime, vuole affermarsi come imprenditore turistico. La fotografia diventa strumento per conoscere l’uomo e la sua relazione con il tempo, con il passato e la sua storia.

MOO YA di Filippo Ticozzi (Italia, 2016, file, 64’) In un villaggio africano, un uomo cieco è seduto all’ombra di un albero ascoltando la sua terra. In un passato non tanto lontano, il paese è stato teatro di efferati massacri, e oggi alcune persone ricordano e si raccontano. Un giorno però, l’uomo cieco decide di partire e di intraprendere un viaggio. Cammina procedendo a tentoni su queste terre, intrise di storie a lui conosciute e diventate finalmente libere.

PRO LOCO di Tommaso Lipari (Italia, 2016, file, 61’) Sport, attività sovversiva, sottocultura: allo skateboarding piace eludere qualsiasi forma di catalogazione. Pensare alla sua relazione con lo spazio urbano è come fare un montaggio tra la varietà di forme e materie offerte dall’ambiente. È ciò che succede in Pro Loco, dove riprese documentarie si alternano a storie animate, “per scegliere nel reale delle cose che stanno nella testa”. O viceversa.

SARO di Enrico Maria Artale (Italia, 2016, DCP, 67’) Un padre uscito dalla vita di un figlio che aveva un anno. Un figlio che di quel padre non ne ha voluto più sapere fino al giorno in cui ha ascoltato un messaggio nella segreteria telefonica. È l’inizio di un viaggio solitario attraverso la Sicilia, con l’intento di rintracciare quell’uomo e registrare tutto con la videocamera. Cinque anni dopo, quel materiale girato ha preso la forma di un film.

LA VILLE ENGLOUTIE di ZimmerFrei (Italia, 2016, file, 64’) A Chalon-sur-Saône il futuro si svolge nel presente, lungo il fiume, nel bosco, tra le rovine di fabbriche abbandonate, nel cantiere navale in disuso con le sue immense gru piegate o nell’ospedale inghiottito dal fiume. ZimmerFrei guarda con gli occhi della fantascienza e prova a immaginare, insieme agli abitanti, i possibili futuri della città, dove l’acqua spesso detta le leggi.

Fuori concorso

AUTHOR: THE JT LEROY STORY di Jeff Feuerzeig (USA, 2016, DCP, 110’) Il film ricostruisce il caso di JT Leroy: fenomeno letterario dei primi anni 2000 (Sarah e Ingannevole è il cuore), rimbalzato da un’infanzia devastata al red carpet di Cannes, fino a quando venne smascherato. Si scoprì che si trattava dell’avatar di Laura Albert. Nel periodo di massima fama JT aveva fatto breccia nel cuore di tanti personaggi dello star-system, loro malgrado coprotagonisti del film.

COLOSSALE SENTIMENTO di Fabrizio Ferraro (Italia, 2016, DCP, 83’) Due statue. Un Colossal. Un ritorno a casa. Tra il 1630 e 1640 lo scultore Francesco Mochi realizza il Battesimo di Cristo per la chiesa San Giovanni Battista de’ Fiorentini di Roma. Rifiutata dal committente, l’opera inizia a peregrinare di luogo in luogo per quasi 400 anni. Nel gennaio 2016, un gruppo di visionari decide di riportare la scultura nel luogo dov’era stata originariamente pensata.

LA FEMME AUX CENT VISAGES di Jean-Daniel Pollet (Francia, 1966, video, 8’) Attraverso ottanta celebri ritratti femminili, risalenti a epoche differenti, senza alcuna preoccupazione didattica, Jean-Daniel Pollet e Jean Thibadeau, autore del testo, costruiscono una drammatizzazione dell’amore. Il tema musicale è quello composto da Duhamel per Pierrot le fou.

PARLE-MOI ENCORE di Jean-Paul Fargier (Francia, 2016, DCP, 55’) Pensato come parte della serie Cinéastes de notre temps, creata da Janine Bazin et André S. Labarthe, il film ripercorre la prolifica carriera del regista di Méditerranée attraverso gli occhi e le parole di un amico e collaboratore, che portò a termine l’ultimo film di Pollet, Jours après jours. Una lettera, più che un ritratto, piena di stima e affetto.

TA’ANG di Wang Bing (Hong Kong/Francia, 2016, DCP, 147’) I Ta’ang appartengono a una minoranza etnica cinese nel Myanmar che vive nella regione del Kokang e che da anni è intrappolata in una guerra civile senza fine. Quando all’inizio del 2015 i combattimenti sono diventati ancora più aspri, migliaia di bambini, donne e anziani sono stati costretti all’esodo in Cina. Seguiti nella loro vita quotidiana, questi rifugiati sperano di tornare presto nelle proprie case.

WRONG ELEMENTS di Jonathan Littell (Francia/Germania/Belgio, 2016, DCP, 135’) Geoffrey, Mike, Nighty e Lapisa hanno un punto in comune: da bambini hanno fatto l’apprendistato del crimine. Rapiti dall’Esercito di resistenza del Signore, che li ha cresciuti come piccoli soldati, oggi ricordano, reinterpretano. Nella savana e nella foresta dove si cercano tuttora gli ultimi membri dell’Esercito, la macchina da presa racconta la relazione tra gli uomini e la terra tornata libera. Love

LES AMOURS DE LA PIEUVRE di Jean Painlevé e Geneviève Hamon (Francia, 1965, 35mm, 13’) “Avvolta nella sua pelle cangiante, la Signora degli Abbracci Conturbanti ha chiuso gli occhi. Tra le sue pesanti palpebre di navigata gaudente, filtra la scintilla di uno sguardo sempre armato di seduzione” (Jean Painlevé).

DIARIO BLU(E) di Titta Cosetta Raccagni (Italia, 2016, file, 27’) Un racconto autobiografico prende forma animata: sono i primi anni Novanta, quelli del liceo. C’è un amore disperato, un’identità da cercare, un coming out da urlare.

DONNA HARAWAY: STORY TELLING FOR EARTHLY SURVIVAL di Fabrizio Terranova (Belgio, 2016, DCP, 81’) Filosofa, femminista, autrice del Cyborg Manifesto, Donna Haraway è anche una fantastica narratrice, capace di creare con la parola mondi popolati di creature favolose, in cui i rapporti e le relazioni affettive escono dal segno binario maschio/femmina, cultura/natura, mente/corpo per entrare in un mondo in cui non ha più senso la distinzione tra realtà, finzione e fantascienza.

DIE GETRÄUMTEN / THE DREAMED ONES di Ruth Beckermann (Austria, 2016, DCP, 89’) Ingeborg Bachmann incontra Paul Celan nella Vienna del dopoguerra. In un’Europa che sta ricostruendo una comunità spirituale dopo il trauma della guerra, una storia di amore e odio, di emozioni fortissime e di intensi scambi poetici e intellettuali, di attrazione e paura, viene raccontata attraverso le lettere che i due si scambiarono fino alla morte di Celan. Due giovani attori, a poco a poco, danno voce e corpo a quei testi e quell’amore.

SUITCASE OF LOVE AND SHAME di Jane Gillooly (USA, 2013, DCP, 70’) Attraverso 60 ore di audioregistrazioni trovate su ebay, la regista ricostruisce una relazione adultera tra un uomo e una donna negli Stati Uniti degli anni ‘60. Tenero, erotico, a volte patetico, questo film collage lascia entrare lo spettatore in una zona dove la complicità si alterna al voyeurismo, in un ménage à trois con il registratore audio.

TERCEIRO ANDAR di Luciana Fina (Portogallo, 2016, DCP, 62’) Un palazzo nel Bairro das Colónias a Lisbona, una madre e una figlia, le radici aeree di una pianta tropicale che dall’ultimo piano attraversano la tromba delle scale. Fatumata e Aissato parlano, dialogano; la figlia traduce la lingua della madre e interpreta discorsi d’amore e felicità. E le radici, dal quinto piano dove abita Luciana, scendono al terzo piano dove abitano le due donne originarie della Guinea Bissau, e invadono lo schermo, tessendo trame di memorie e di speranze.

LES VIES DE THÉRÈSE di Sébastien Lifshitz (Francia, 2016, DCP, 55’) Thérèse Clerc è stata una madre, una moglie, un’attivista, una femminista, una lesbica, una lottatrice instancabile. Afflitta da un male incurabile decide di chiedere a Sébastien Lifshitz di accompagnarla con la sua cinepresa fino alla fine. Un testamento pieno di vita e di speranza nella forza dell’amore e della politica e delle relazioni.

WE MAKE COUPLES di Mike Hoolboom (Canada, 2016, file, 59’) Una storia d’amore marxista si interroga sulla possibilità della coppia di essere una forma di resistenza. Special guest: Occupy, Pussy Riot, una capra che corre, due barboncini, un’armata di manifestanti per strada, Mos Def, Frankenstein e il primo bacio al cinema.

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