Indovinate un po’? La sterlina sta crollando (e no non è colpa solo della Brexit)

07/10/2016 di Redazione

Un tonfo, anche se improvviso, durato poco ma decisivo. Gli americani lo chiamano flash-crash il fenomeno che ha interessato la sterlina che ha lasciato il 6,1 per cento nelle contrattazioni asiatiche mettendo così pressione i mercati dell’Estremo oriente.

La valuta inglese è caduta a 1,1789 contro il dollaro, il livello più basso dal 1985. La moneta è poi scesa a 1,2437 dollari, sotto quindi la soglia del 1,2600. Il fenomeno si sta ripetendo troppo spesso negli ultimi giorni. Perché la sterlina ha raggiunto il livello di cambio più basso negli ultimi 30 anni?

CROLLO STERLINA: COLPA DELLE AUTOMATED TRADES

Qualcuno penserà alla Brexit e invece dietro ci sarebbe un errore, automatico o meglio algoritmico. L’agenzia Bloomberg scrive che molto probabilmente il flash-crash è stato causato da ordini impartiti da macchine (automated trades) partite in seguito a un articolo del Financial Times. Si tratta di un algoritmo di vendita usato per automatizzare le vendite e che ha avuto la meglio quando il FT ha riportato le parole del presidente francese François Hollande sui futuri negoziati sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Hollande ha sollecitato l’euro-blocco per contrattare con la Gran Bretagna allontanando le ipotesi di uscite morbide e vantaggiose per gli inglesi. Le automated trades hanno avuto la meglio perché questo tonfo si è verificato nella notte, prima dell’apertura delle borse europee, quando quindi algoritmi dedicati al fenomeno british rischiano di esser più seguiti. La perdita infatti è avvenuta all’apertura dei mercati asiatici,  che aveva un iniziale problema di liquidità. Adesso la sterlina è in leggero recupero e perde contro il dollaro circa l’1,5 per cento.

Ok ma gli automated trades bastano per spiegare il crollo? Nì.

CROLLO STERLINA: NON SOLO COLPA DI UN ALGORITMO

Ci sono altri fattori che contribuiscono alla volatilità della moneta. In primis quelle politiche con il commento del primo ministro britannico, Theresa May, sulla data di uscita del Regno Unito dalla Unione Europea. Le procedure di uscita saranno avviate entro marzo 2017. Comprensibile la preoccupazione di realtà aziendali che investono nel Regno Unito.  Non solo. Ci sono alcune paranoie tutte economiche sul fatto che gli inglesi riescano a stare dentro i mercati europei nel post Brexit. E le rassicurazioni di Philip Hammond, numero uno del Tesoro britannico, a Wall Strett potrebbero non bastare. Si teme una sorta di esodo delle multinazionali fuori dal territorio battente bandiera inglese. Terzo aspetto, per non far mancare nulla, in Gran Bretagna si discute sulla proposta delle liste di proscrizione dei lavoratori stranieri assunti nelle aziende inglesi. Una roba che non aiuta a livello di immagine per chi vuole investire. In ultimo questo tonfo era abbastanza prevedibile. La Bank of England ce l’ha messa tutta per sostenere, a suo modo, l’economia UK tagliando  i tassi di interesse al loro minimo storico. Un modus operandi che May ha apertamente criticato. Come spiega Wall Street Italia:

May ha d’altronde attaccato le principali manovre lanciate dall’istituto:

“Sebbene tassi di interesse ultra bassi e il QE abbiano fornito la medicina di emergenza necessaria dopo il crash finanziario, dobbiamo riconoscere che si sono manifestati anche effetti collaterali negativi”. Ovvero: “la gente proprietaria di asset è diventata più ricca, le persone che ne sono prive hanno sofferto; le persone alle prese con i mutui ne hanno beneficiato, mentre chi ha risparmiato è diventato più povero. C’è bisogno di un cambiamento e noi siamo qui per questo”.

 

(Foto: BEN STANSALL/AFP/Getty Images)

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