Pontida, Salvini liquida Bossi e dissidenti. Per la Lega è svolta nazionale | VIDEO

19/09/2016 di Alberto Sofia

Non è più il tempo di rincorrere quell’utopia della secessione rievocata da Bossi. Né il tempo della realpolitik, del pragmatismo e delle mediazioni di maroniana memoria. Nel «pratone sacro» di Pontida, a vent’anni dal lancio della simbolica dichiarazione d’indipendenza della Padania, l’altro Matteo, il rampante Salvini, pone ora le basi per la svolta nazionale di quella che un tempo era soltanto la Lega Nord.


GUARDA L’INTERVISTA A MATTEO SALVINI

PONTIDA SALVINI E LA SVOLTA NAZIONALE DELLA LEGA

Non c’è più il vecchio Carroccio. O almeno non può bastare per le ambizioni del suo segretario. Dal luogo simbolo dell’orgoglio leghista, nella kermesse dedicata alla battaglia per il “No” al referendum costituzionale,  Salvini indica al suo “popolo” quella che è ormai la nuova rotta lùmbard: varcare, da una posizione di forza, la stanza dei bottoni. Quegli stessi palazzi della “Roma ladrona” verso cui un tempo la Lega lanciava le proprie invettive, sono ormai diventati l’ossessione salviniana: «Non non ci interessano le poltrone. Ma oggi parte una lunga marcia, non arretrerò di un millimetro», urla dal palco il segretario, accolto e acclamato come leader indiscusso. Era chiaro, fin da quando lanciò quell’Opa (riuscita soltanto a metà) sui resti del vecchio centrodestra berlusconiano, che l’obiettivo di Salvini fosse la “presa” di Palazzo Chigi. Ma numeri e consensi, almeno per ora, dicono altro. Tanto che l’autosufficienza sbandierata da Pontida sarà forse buona per galvanizzare i militanti del Carroccio. O per minacciare Arcore e il Cav. Ma poco più.

Lo sa bene pure lo stesso Salvini, che con il Cav sarà costretto a sedersi per trattare. Volente o nolente. Forse pure con Stefano Parisi, il manager prima lanciato dall’ex premier per resettare il partito, poi “congelato” in attesa del verdetto del referendum, tra le ribellioni di mezza FI. E con alle spalle già una convention liberal-popolare ingessata e scivolata via senza pathos. “Mummificata“, per usare il linguaggio salviniano.

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PONTIDA SALVINI SNOBBA PARISI. E MINACCIA FORZA ITALIA

Eppure Salvini snobba Parisi, non lo riconosce, nemmeno intende prenderlo in considerazione: «Berlusconi è il mio interlocutore», replica stizzito ai cronisti. «Se ti chiami Scajola tra i presenti alla kermesse parisiana di Milano, ndr stai con Alfano, Fini e Verdini. Non con me. Se voi volete questa gente, cercate un altro segretario federale», provoca. Un avvertimento diretto non soltanto verso l’ex premier, con il quale potrebbe già incontrarsi lunedì sera ad Arcore, dopo settimane di attesa. Ma anche verso chi, come Umberto Bossi e Roberto Maroni dentro la Lega, poco apprezza le tentazioni di autonomia leghista, in salsa lepenista e antisistemica. E, al contrario, insegue quel “modello Lombardia” del tutti dentro, Ncd compresa, per salvaguardare gli equilibri e le alchimie locali.

PONTIDA SALVINI ATTACCA BOSSI DAL PALCO (SENZA CITARLO)

SALVINI SCARICA BOSSI. E IL POPOLO LO SEGUE

Ma dentro la Lega salviniana non c’è spazio per il dissenso. A meno di non voler fare la fine di Flavio Tosi. «Se c’è chi pensa che il futuro della Lega sia ancora quello di un partitino servo di qualcun altro, di Berlusconi o di Forza Italia, ha sbagliato. Non saremo più schiavi di nessuno. Non faremo accordi al ribasso. Non tornerà la Lega del 4%», attacca e si auto-esalta dal palco Salvini. Soltanto il primo attacco di una Pontida che sembra quasi un Congresso anticipato per il partito di via Bellerio. Con il segretario che archivia e scarica, una volta per tutte, il “padre” dimenticato del Carroccio Bossi. Silenziando pure l’insofferenza crescente dei Maroni, dei Calderoli e del vecchio corso.

L’ATTACCO DI UMBERTO BOSSI A SALVINI

PONTIDA SALVINI E IL “PADRE” BOSSI SCARICATO

«La libertà del Nord, la secessione resta l’unica via. Il resto sono chiacchiere. La Lega non sarà mai un partito nazionale», provoca il vecchio Senatùr, non nuovo agli attacchi verso il segretario. «Finché ci sarò io, l’articolo 1 – quello dell’indipendenza padana come obiettivo fondativo – rimane com’è», si accoda Roberto Calderoli, storico stratega parlamentare del Carroccio. «Salvini è un capitano. Ma non tratti gli indipendentisti, che sono un po’ come i partigiani della Lega, come Renzi tratta i veri partigiani, che è una vergogna…», azzarda pure Mario Borghezio.

Peccato che la reazione del segretario sia invece veemente. Quasi da benservito verso Bossi, se non fosse che – come pure riconosce pubblicamente – il padre della Lega rappresenti ancora un’icona, seppur senza alcun reale potere, né influenza. Meglio consegnarlo alla storia, come un vecchio cimelio: «Mi fanno schifo i rottamatori, a Bossi sarò sempre grato. Certo, è la sesta volta che mi dice che non capisco un ca… Che cosa faccio? Lo abbraccio perché non riesco a dirgli niente. E vado avanti per la mia strada», lo liquida dal palco. Scaricato, al di là delle rottamazioni di memoria renziana bollate come indigeste. E la base? Pochi dubbi, sta con il “Capitano”, al di là di qualche nostalgico.

Agli altri dissidenti indica già la porta, Salvini: «Nemici ne abbiamo già abbastanza all’esterno, serve restare uniti», si scaglia, rilanciando pure le classiche accuse contro la stampa, bollata come «serva». Contro Matteo Renzi e «la sua amante Merkel». Contro Sergio Mattarella e Laura Boldrini. E, immancabile, contro il solito Alfano. Tra i “nemici” viene iscritto pure Papa Francesco, con tanto di magliette in vendita da Pontida con slogan: “Benedetto è il mio Papa”: «Lui aveva idee molto precise sull’Islam. Quelli che invitano gli imam in chiesa non mi piacciono», fomenta Salvini dal palco contro il Pontefice. Al centro del suo pantheon, Salvini mette invece il russo Vladimir Putin. Non senza rilanciare pure le alleanze europee strette con euroscettici, destre, no-euro, dal Fn di Le Pen, agli austriaci Fpoe.

PONTIDA SALVINI E L’AVVISO DI SFRATTO AI DISSIDENTI

Ma questa volta, nella Pontida della svolta, quello che colpisce è l’autoritarismo con il quale il leader liquida il dissenso. «Come gli allenatori del giorno dopo, anche qui ci sono segretari federali che hanno la bacchetta magica. Il potere centralista è stato forte, ma possiamo dire che anche noi ci siamo fatti male da soli?», attacca, richiamando alla memoria pure le grane giudiziarie che travolsero la Lega nell’era Bossi. 

Non è un caso che Roberto Maroni  (come l’altro governatore Luca Zaia) salgano sul palco per non dire nulla o quasi. Mantenendosi defilati, quasi nell’ombra. Alla larga da qualsiasi polemica. «Sta facendo bene il suo lavoro…», taglia corto lo stesso Salvini sul conto del governatore lombardo. Nega a Giornalettismo di aver mandato un segnale («Non ho bisogno di lanciare avvertimenti»), ma la sfuriata contro la Lega dei padri è quasi un’ammonizione per il futuro. Maroni è avvertito.

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