Cara Lucarelli, non difendi Tiziana Cantone con la gogna Selvaggia

15/09/2016 di Boris Sollazzo

SELVAGGIA LUCARELLI TIZIANA CANTONE –

Ho stima di Selvaggia Lucarelli, e molta. Trovo che abbia una penna felice e arguta, una mente che sa unire pop e riflessioni originali, e non di rado (lo faccio per farmi perdonare il facile gioco di parole del titolo) mi dà del Sollazzo quando parla in radio.

Per questo oggi, quando ho aperto la sua pagina Facebook dopo un po’ di tempo che non la consultavo, sono rimasto sconvolto. Inutile spiegare, leggete da soli.

Selvaggia Lucarelli Tiziana Cantone

Ora, sì, lo ammetto, vorrei picchiare Antonio Leaf Foglia. Faccio fatica a esprimere il mio schifo per quell’uomo. Faccio fatica a non augurarmi il peggio per lui. Ma quello che mi sconvolge, sono sincero, è il post di Selvaggia Lucarelli. Di lei non ho mai approvato quella gogna a cui ha spesso esposto, in radio e sui social, chi la insultava. Ma essendo stato al centro di un paio di dolorosissimi linciaggi social (uno, cara Selvaggia, pensa, da donne) so cosa vuol dire. So cosa si prova. So quant’è dura resistere al fascismo 3.0. Lo so, perché non si ferma sullo schermo di un pc o di uno smartphone, perché accende le menti più squilibrate, perché ti toglie serenità.
E Selvaggia, lo so, ne sei al centro da anni e senza pausa. Ma hai una responsabilità, enorme. Non puoi reagire di pancia, non puoi rafforzare la catena di barbarie che questo paese alimenta ogni giorno, sul web e non solo. No.

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Perché non avrebbe senso il tuo editoriale (bello) su Il Fatto Quotidiano. Come hai risposto piccata (e in maniera facile facile) allo scrittore Errico Buonanno che rilevava i problemi alla base di ciò che avevi fatto, è “saggio, pulito, politicamente corretto” come il suo “bel post” che ti ha fatto arrabbiare. Ma quell’editoriale lo hai scritto tu, non Buonanno.

Abbiamo tutti una pistola perché un account Facebook ci spetta di diritto senza porto d’armi.

Nel titolo è definita “la pistola cieca dei social”. Ecco, tu hai una mitragliatrice, anzi una batteria di bazooka. Con i tuoi numeri su Facebook e Twitter potresti farci una guerra, il tuo arsenale è pieno e spesso, come sai, i tuoi soldati fanno paura (quando mi sono trovato al centro delle lapidazioni che tanto piacciono alle piazze virtuali, ricordo quanto mi spaventasse la violenza di alcuni che mi difendevano). E tu, a differenza di “Antò” hai un cervello, una consapevolezza, un ruolo culturale e sociale.

Dimmi, Selvaggia, serenamente, perché un amico di Tiziana non dovrebbe seguire il tuo esempio e magari farsi giustizia con il fidanzato di lei? Dimmi perché non dovremmo temere ora il suicidio di quest’uomo che ha scritto questa frase indegna? Dimmi perché lui deve perdere il lavoro – con tanto di tua esultanza – e la faccia? Perché lui e solo lui deve essere l’oggetto della vendetta per la morte di una innocente?

Sai, mi ricorda “colpirne uno per educarne cento”. Una frase che userà spesso Paolo Di Canio, da te difeso oggi con un parere intelligente: “non si licenzia un uomo per un tatuaggio. Non lo si assume per le sue idee, al limite (idee note e dichiarate da sempre)”. Mi dirai, Di Canio non si è felicitato per la morte di una povera ragazza. Vero, si è solo tatuato il nome di battaglia di uno che ne ha fatte fuori chissà quante: uccise, deportate, violentate, umiliate.

Ci sono le regole Selvaggia. Di educazione civica e della legge. Paolo Di Canio, ad esempio, andava squalificato già da calciatore e Sky (come già Mediaset prima, dai tempi di Controcampo) mai avrebbe dovuto pensarci. E il buon “Antò” che bullizzi dicendo “dovevi chiudere il profilo” andava segnalato e poi denunciato. E magari potevi usare il tuo ruolo per quelle milioni di denunce alla polizia postale che rimangono in fondo all’archivio e spesso non rendono giustizia alle vittime e lasciano impuniti i carnefici.

Ma reagire con la stessa moneta, quello è barbaro. E’ dire ai lettori, ai cittadini, che la risposta è “occhio per occhio, dente per dente”. E’ la pena di morte negli Stati Uniti: anche lì pensano che uccidere l’assassino contribuisca a far smettere di uccidere. Sbagliato, le statistiche dicono altro. La risposta non è il Medioevo, non è la lapidazione che risponde alla lapidazione, non è la gogna.

Così non fai che mettere quella pistola cieca in mano a tutti. “Se Selvaggia Lucarelli lo fa, è giusto”. Leggi i commenti scatenati dai tuoi post: sinceramente, ti piacciono? Pensi che contribuiscano a una società che potrà in futuro evitare che avvenga ciò che è successo a Tiziana? No, lo sai anche tu. Come sai che persino Antonio non ha capito nulla. Quell’ominicchio senza qualità ha avuto paura, si è nascosto, poi ha dato un’intervista al Corriere della Sera e ora fa il martire.

Riflettici, neanche lui ha imparato la lezione che volevi impartire. Bisogna essere migliori dei carnefici, altrimenti le vittime muoiono due volte.

Tiziana possiamo “vendicarla” con la cultura. Isolando certi comportamenti, portando avanti un rispetto della donna più profondo, radicato, dimostrandoci migliori e diversi. Magari dicendo al giornale per cui lavori che dare della futura “attrice pornografica” senza fonti ma solo per deduzione, è sbagliato (e bravo Gomez a chiedere scusa). O al collega Linus che quel jingle di Deejay chiama Italia, per cui non ha neanche chiesto scusa, ha contribuito drammaticamente alla violenza scatenata su quella giovane donna. Senza metterli alla berlina, senza esporli al pubblico ludibrio, ma spingendoli a una riflessione.
Sono sincero, prendere un cretino a caso e umiliarlo non mi sembra molto diverso dal revenge porn. Non riesco a vedere in ciò che hai fatto, qualcosa di diverso da ciò che volevi condannare. Anzi, la tua responsabilità, in quanto editorialista da prima pagina e intellettuale, è maggiore rispetto a quello di un comune cittadino. Motivo per cui è giusto parlare di soubrettine che parlano di karma e hacker – ahimè questo paese ha datto fama e esposizione persino a loro – ma anche in quel caso di non linciarle.

Capisco che per una donna ciò che è successo alla Cantone sia ancora più lacerante. Chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale, sa quante volte vi siano prevaricazioni maschiliste verso donne: fisiche, psicologiche, digitali. Ma vincono loro, se prendi le loro armi e le usi. Il contrappasso di Dante all’Inferno, lo sai meglio di me, è l’idea di un uomo con evidenti problemi con le donne e nato secoli fa. E suggerito da una religione che a questi uomini consente di peccare, pentirsi e farsi perdonare. Usarlo non è segno di intelligenza, solo un modo per scendere a un livello così basso che, nel fango, non si distinguerà più chi sarà dalla parte della ragione e chi da quella del torto.

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