Bersani anticipa lo strappo al referendum: «Se si votasse domani voterei No» | VIDEO

12/09/2016 di Alberto Sofia

La Ditta è ormai pronta allo strappo sul referendum costituzionale. E l’antipasto lo serve Pier Luigi Bersani alla Festa dell’Unità di Roma. «Se si votasse domani? Certo che voterei no». Forse non è ancora l’annuncio della rottura ufficiale, ma poco cambia. Perché con i cronisti l’ex segretario del Pd è chiaro: per la minoranza dem non c’è stata alcuna reale apertura da parte di Matteo Renzi sull’Italicum nel suo discorso di Catania. E anche se una deadline ancora non c’è da parte della sinistra Pd, la decisione sembra ormai quasi presa.

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BERSANI: «NESSUNA REALE APERTURA DA RENZI»

Il motivo? Troppa resta la distanza al Nazareno per tentare di ricucire. Anche perché per Bersani e Speranza modificare la legge elettorale che la sinistra dem già non votò in Parlamento resta prioritario. E va fatto prima della consultazione referendaria, il vero spartiacque della legislatura, al di là dei cambi di toni di Renzi sulla personalizzazione. Da Palazzo Chigi, al contrario, le aperture restano timide, così come dai vertici del Nazareno. Soprattutto sui tempi. «Non vedo nessuna apertura. Devono dire di aver sbagliato a porre la fiducia sulla legge elettorale», insiste Bersani dalla Festa dell’Unità della Capitale. E ancora: «C’è tempo per fare una nuova legge elettorale prima del voto referendario: l’importante è che ci siano due pilastri fondamentali, l’addio ad un ipermaggioritarismo inaccettabile e un meccanismo per conoscere i propri candidati», incalza.

La minoranza resta però a dir poco scettica sulle reali intenzioni della segreteria. Anche perché dai vertici non ci sono segnali d’apertura. Sia il vicesegretario Lorenzo Guerini che il capogruppo a Montecitorio Ettore Rosato hanno già bocciato la proposta del Bersanellum della sinistra dem. «Certamente non saremo disponibili a leggi non chiare e che ci riportino alle larghe intese», è il mantra ribadito dai renziani. Ma non solo. Perché pure in Aula un accordo sembra a dir poco lontano. Con la legge elettorale presa d’assalto da mezzo arco parlamentare, ma con pochi margini per battaglie comuni. L’impressione è che una mediazione sia impossibile soprattutto al Nazareno. Lì, in casa Pd, dove le posizioni restano di fatto inconciliabili. Perché Renzi si è convinto che la minoranza persegua soltanto l”obiettivo di affossare il referendum costituzionale. E con il voto pure la sua leadership. E la sinistra dem, al contrario, che considera soltanto «chiacchiere» –  la «solita canzone» secondo le metafore bersaniane –  la (presunta) disponibilità a rivedere la legge elettorale. Certo, resta la variabile della Consulta. Perché la Corte dovrà esprimersi sulla costituzionalità della legge e si riunirà già il 4 ottobre. Due mesi prima delle urne, se la data del 4 dicembre sarà confermata. Chiaro che fino ad allora Renzi giocherà di tattica, prendendo tempo. Senza sbilanciarsi troppo.

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Una strategia, quella del premier, che può ora far compattare sul No tutta la minoranza dem. E schiacciarla sulla strategia di Massimo D’Alema, una prospettiva che spaventa lo stesso ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, vero architetto del disegno di legge Boschi. Ma se l’ex segretario Bersani resta lontano dai toni incendiari di D’Alema, non fa mistero di aver apprezzato poco le parole forti rivolte dal premier Matteo Renzi al Lider Maximo: «Ci può essere certamente un disaccordo, ma il dileggio da parte di un segretario di partito non è accettabile: sono stati usati toni aggressivi contro una parte della nostra gente», affonda. E ancora: «A chi si proclama esponente del nuovo, ricordo che tutti noi esistiamo perché in passato ci sono state altre persone. Tutti noi esistiamo politicamente perché siamo stati sulle spalle di qualcuno». Parole che riavvicinano due leader, Bersani e D’Alema, per settimane distanti sulla linea politica da adottare, con l’ex premier all’assalto di Renzi e la sinistra bersaniana ancorata a un perenne penultimatum. Schiacciata sull’attendismo, in attesa di un segnale che non è arrivato. 

Dal palco della Festa dell’Unità romana c’è spazio anche per un passaggio sul caos a Cinque di Stelle di Roma nell’intervento di Bersani: «Hanno sbagliato il primo colpo. Ma io dico attenti a non bastonare troppo. Se uno bastona il cane una volta, due volte, tre volte, alla fine la gente sta con il cane», avverte. Certo l’attenzione resta rivolta al referendum. E a uno strappo mai stato così imminente in casa dem.

Una scissione, però, almeno secondo Bersani, non è in agenda: «Sui referendum ognuno vota secondo coscienza. Giusto che il partito dia un’indicazione, ma c’è libertà di voto. Il giorno dopo, si resta tutti insieme nel Pd». Chiaro che l”obiettivo di lungo termine resti per la minoranza il Congresso del partito. Ma è una partita che rischia di consumarsi già nel voto del referendum costituzionale.

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