Rio 2016, Usain Bolt tricampione olimpico anche nei 200. “Sono come Pelé”. Ma il ritiro è vicino – VIDEO

19/08/2016 di Boris Sollazzo

USAIN BOLT, ORO NEI 200 E RITIRO? –

Certe notti, la pista è calda e dove ti porta lo decide lei.

Altre notti, no. I campioni piegano alla loro volontà il tempo. Come Usain Bolt, capace di vincere anche i 200 metri, a 30 anni, e per la terza volta in un’Olimpiade dopo Pechino e Londra. Se dopo i 100 metri con l’umiltà e l’understatement che lo contraddistinguono ha affermato di essere immortale, questa volta ha persino esagerato, visto il luogo in cui si è permesso di dire ciò che ha detto. Già, perché alla fine del mezzo giro il giamaicano, nella città più rappresentativa del Brasile, ha detto “Sono come Pelé”. Una cosetta, insomma.

guarda la gallery: 

LEGGI ANCHE: USAIN BOLT VINCE I 100 METRI A RIO 2016

Ma non gli possiamo dare torto. Forse è persino meglio, contando che Edson Arantes do Nascimiento detto, appunto, Pelé, per vincere tre mondiali ci ha messo comunque quattro competizioni (in uno, quello inglese del 1966, si infortunò) e 12 anni. Il nostro in appena 8 e tre olimpiadi ha fatto l’en plein individuale e se la sua Giamaica, contando in un’altra freccia come Asafa Powell e nell’ottimo Blake, dovesse far sua anche la 4×100, parleremmo di un triplo tris e di nove ori olimpici, come solo Paavo Nurmi e Carl Lewis (ma in più Olimpiadi) hanno saputo fare. Ha resistito a rivali che andavano velocissimi, ad avversari dopati, a sei infortuni negli ultimi sei anni. Corre più veloce del vento, ha demolito i record che prima immaginavamo insuperabili. Qualcuno, recentemente, lo sta paragonando a Muhammad Alì e probabilmente ha ragione: hanno lo stesso spirito dissacrante, la stessa incredibile capacità di dominare il proprio sport, a livello atletico, tecnico e comunicativo. Non a caso, oggi, ha detto “Voglio essere come Alì e Pelé”.

Anche stanotte, però, il re è sembrato stanco. Anche stanotte ha ammesso, tra le righe, che questa saranno i suoi ultimi Giochi. “Non devo dimostrare nient’altro” ha detto. “Cos’altro dovrei fare per dimostrare al mondo di essere il più grande? Tokyo 2020? Sul rettilineo il mio corpo non rispondeva più come un tempo, sto diventando vecchio”. E lo capisci dal fatto che pur dominando, Usain non cerca il tempo ma, per la prima volta, “solo” la medaglia, solo la doppietta (storica, perché la giamaicana Thompson la fa anche tra le donne, vincendo 100 e 200). Eppure la stizza c’è quando vede il tempo stellare di 19”78. Forse al record, dopo una curva dipinta col compasso, ci credeva. Sono passati 14 anni da quando, adolescente, ferma il mondo. 20”61 a Kingston, nel suo paese. Nei 200, la sua gara, campione mondiale juniores. Correndo è arrivato fino a Rio, fino a otto medaglie d’oro olimpiche, passando per il biennio Pechino 2008-Berlino 2009: tre titoli olimpici e tre titoli mondiali in 12 mesi, sei record mondiali (fino ad arrivare ai pazzeschi 9”58 sui 100 e 19”19 sui 200). Poi, la bomba “credo che sarà la mia ultima gara sui 200”. Un ritiro a puntate. Forse perché noi abbiamo bisogno di lui, del suo modo di vivere lo sport, della sua goliardia pre-gara, del suo essere un campione straordinario e pulito, più di quanto lui abbia bisogno di noi.

E allora corri Usain, dove vuoi tu. A noi hai fatto volare. E forse con quel sorriso e quel rimprovero in semifinale (“mi ha provocato, certi sforzi si pagano), hai anche designato il tuo erede. Quel canadese, De Grasse, che ha osato sfidarti: terzo nei 100 e secondo nei 200 (Lemaitre, il francese, bronzo). Tanto per dirti “Usain, sei il più forte, ma io non ho paura”. Proprio come hai affrontato tu lo sport e il mondo: testa alta e faccia tosta.

(in copertina foto Ryan Pierse/Getty Images)

Share this article