La Brexit vista da un italiano a Londra

Vi racconto un piccolo aneddoto. Il giorno precedente il referendum, quindi il 22 giugno, mi ritrovo a passeggiare su Turnpike Lane Road, North London. Dietro di me, un enorme muratore rumeno, che sta mangiando nel mentre qualcosa che mi avrebbe probabilmente ucciso dandogli un morsetto, chiacchiera con un suo collega, londinese di colore, leggermente più massiccio di lui.

“Non potete scegliere di uscire dall’Europa” dice all’amico il muratore rumeno. “Non sapete neanche di cosa state parlando. In Europa siamo tutti più forti”.
“L’Europa non ci aiuta per niente, continuano a venire persone che sfruttano i nostri benefits e impoveriscono il paese”.
“E secondo te è questo il problema? O forse è il vostro sistema di welfare che è sbagliato e voi siete troppo testardi per cambiarlo? Ti spiego come funziona nei paesi sensati. Io lavoro, per almeno sei mesi, contrattualizzato. Mi licenziano, attenzione, mi licenziano, non me ne vado io. Faccio richiesta di sussidio, viene analizzata, se ho un regolare permesso di soggiorno me lo danno, per un periodo secondo lo stato sufficiente per trovare un nuovo lavoro. Se non lo trovo entro quel periodo, allora si prende in considerazione l’idea di prolungarlo. Da voi invece trovi lavoro, ti licenzi dopo un’ora, vai a chiedere i benefits, te li danno a tempo indeterminato, e ti puoi anche mettere in lista per una casa popolare, e magari dopo tre mesi ti trovi a vivere in un bell’appartamento a Chelsea a spese dello stato. E quindi, la colpa è dell’Europa?”

Ora, fermo restando che il muratore rumeno è il mio nuovo eroe politico continentale, la questione Brexit è tutta in questa conversazione. Da una parte c’è un popolo tendenzialmente ignorante, menefreghista, qualunquista, cialtrone ed egoista. Dall’altra ci sono gli europei, e non quelli di calcio, ma persone che condividono cultura e storia. Gli inglesi no, loro sono sempre stati un mondo a parte, lo sono anche oggi, con la fortuna di essere stati colonizzati, anche se loro pensano il contrario, da ogni parte del mondo, arricchendosi grazie al lavoro e alla creatività altrui.

Ecco, il sentimento di un italiano a Londra due giorni dopo la Brexit non è la delusione, perché basta imparare a conoscere gli inglesi per sapere che inevitabilmente ti deluderanno. Ma è la rabbia di avere dato tanto a una nazione che vale poco sotto molti punti di vista. Te ne accorgi quando dopo le cinque del pomeriggio del giorno del giudizio, vai un pub del centro e li trovi che bevono, fumano, ridono scherzano e si ubriacano esattamente come gli altri 51 venerdì dell’anno. Te ne accorgi quando scopri che dopo avere votato, la seconda ricerca su Google dai server britannici è “What’s EU”. Te ne accorgi perché in fondo anche agli affranti londinesi non dispiace sapere che questi italiani, spagnoli, polacchi, greci, non sono realmente parte di loro. Perché loro sono inglesi, sudditi di Sua Maestà Britannica.

I primi passi dopo la Brexit sono difficili, l’aria è diversa, ti senti osservato, eppure Londra è bellissima come il giorno, ma la senti meno tua, hai il dubbio che non sia più il posto dove vuoi rifarti una vita. Inizi a pensare le alternative, vicine e lontane, accorgendoti che sei qui perché è l’unico posto dove puoi ricominciare da zero tutte le volte che vuoi, perché te lo permettono.
E allora ti chiedi: perché hanno fatto quest’idiozia? Intendiamoci, non lo prescrive il medico di far parte dell’Europa unita. Ma una volta che ci sei, e da privilegiato tra le 28 nazioni, tirarsi indietro prevede delle conseguenze. E le più pesanti non sono tanto i soldi che in due giorni sono stati bruciati, ma il fatto che dal 23 giugno 2016 del popolo britannico nessuno si potrà più fidare. Poi magari hanno ragione loro. Ma prima lo devono dimostrare. Ecco, diciamo che gli inglesi ci hanno fatto un favore. Adesso non sono più gli italiani quelli più disprezzati da tedeschi e francesi. Ah, ma scusate, in realtà è così da qualche secolo. Hanno semplicemente gettato tutti la maschera. Forse per un po’ possiamo metterci sotto il portico e goderci lo spettacolo. Peccato costi un po’ caro

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