Marianna Madia la ex veltroniana, ex turca, ora renziana attacca Orfini

23/06/2016 di Marco Esposito

Pochi politici in Italia hanno goduto della cooptazione quanto Marianna Madia. Ministro per non si sa bene quali meriti, senza aver mai dimostrato alcuna competenza specifica, se non quella di sapersi muovere tra le correnti del Partito Democratico con grande astuzia, tuona contro il partito romano.

Conosciuta dai giornalisti per un siparietto ad una Leopolda, (si rivolse ai giornalisti che le facevano delle domande con un improbabile «il vostro non è giornalismo di rinnovamento»), entra in Parlamento nel 2008 per volere di Walter Veltroni che addirittura la mise capolista nel Lazio.

Il suo nome, ad un certo punto, era spuntato tra i possibili candidati sindaco di Roma; quando capì che la strada era tutta in salita, fece un passo indietro.

Oggi intervistata da Giovanna Casadio su Repubblica, torna ad occuparsi da Roma:

«Il voto ci dice una cosa chiara: nella mia città, che non è l’ultimo borgo d’Italia, siamo stati rottamati dai cittadini. Il Pd non ha saputo ascoltarli. E ci hanno punito».

Poi, l’attacco al Pd Romano, Matteo Orfini – suo vecchio capo corrente – in testa

Torniamo al voto. Perché il Pd ha perso così male?
«A Roma i numeri sono talmente chiari e violenti che è inutile cincischiare: o il Pd si libera dalle piccole e mediocri filiere di potere che lo tengono ancora in pugno e torna per strada, ad ascoltare i cittadini, i loro problemi e necessità, oppure muore. Deve aprirsi, rinnovarsi. Nella capitale siamo stati travolti. E oggi siamo in mare aperto. Che però può essere un’opportunità».

Non sarà troppo ottimista?
«No. La sconfitta ha portato tanti giovani amministratori a pagare colpe non loro: penso ai presidenti dei municipi romani età media 35 anni – che hanno governato bene i loro territori ma hanno perso. Ebbene, ora serve il coraggio di mettersi in gioco. Senza che nessuno abbia l’arroganza, anche perché non ne ha titolo, per dire cosa fare e come».

Qualcuno potrebbe obiettare che un partito non è un talent show, ministro.

«E questa sconfitta non è una finzione, purtroppo. Perciò adesso chi ha idee e forza d’animo deve farsi avanti, perché noi del Pd romano siamo stati tutti rottamati. In questo c’è già un modello: si chiama Matteo Renzi. Il quale non ha aspettato che qualcuno gli dicesse “fai il sindaco di Firenze” o il segretario nazionale. Penso che il partito, a Roma e negli altri territori dove siamo in difficoltà, debba essere “stappato”. Non può più rinchiudersi in discussioni asfittiche e politiciste».

Teoricamente ineccepibile, praticamente inattuabile: il Pd romano commissariato da 18 mesi ha schemi piuttosto rigidi, neanche Renzi – se ci fosse – farebbero avvicinare.
«Ma in questo momento tutti gli schemi di gioco sono saltati. E bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo. Se il tappo è Orfini, allora si dimetta da commissario. Non ci possiamo più permettere ostacoli al cambiamento. In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capo corrente la candidi».

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