Unioni civili, Scalfarotto racconta la svolta: «Quel messaggio su WhatsApp di Renzi…»

12/05/2016 di Redazione

L’ostruzionismo dei parlamentari cattolici del Pd. L’accordo con il Movimento 5 Stelle. Il rischio di flop al Senato dopo lo strappo dei grillini. Poi lo stralcio della stepchild adoption e la fiducia, deciso dopo un messaggio WhatsApp del premier Matteo Renzi. È il racconto di Ivan Scalfarotto, 51 anni, deputato Dem e sottosegretario allo Sviluppo Economico, che ha seguito tutti i passaggi della legge sulle unioni civili approvata ieri in via definitiva alla Camera. In un’intervista rilasciata a Goffredo De Marchis per Repubblica ricostruisce tutti i momenti critici per il ddl Cirinnà e il momento della svolta, ma non prima di aver detto che finalmente potrà sposare il suo Federico. “Aspetto che me lo chieda. In un posto romantico”.

«Un nostro senatore mi disse, serio: “Per colpa tua il vescovo mi ha tolto il saluto”. I cattolici non volevano la legge. Puntavano a svuotarla, in modo che i gay non l’avrebbero più difesa e le Sentinelle in piedi avrebbero continuato ad attaccarla. Proprio come è successo con la norma sull’omofobia. Io ho pensato: “Non mi faccio fregare una seconda volta”».

 

Allora avete cercato i 5stelle e vi hanno fregato anche loro.

 

«Andiamo da Renzi io, la Boschi, Rosato e Zanda. “Facciamo un accordo che rompe la maggioranza di governo, ci copri?”. Andate avanti, risponde. Quando i grillini non votano il canguro al Senato si capisce che abbiamo fatta una cazzata politica grande come una casa. Se c’era il Pcus ci avrebbero spediti in Siberia… Quella sera sono a cena con Federico che guarda le foto sul mio cellulare. “C’è un Matteo che ti cerca”, dice. Leggo Whatsapp, messaggio di Renzi: “Solo fra me e te, che facciamo?”».

 

E lei?

 

«Mi aspettavo un vaffa invece… “Mettiamo la fiducia e stralciamo la stepchild”, scrivo. Renzi era già pronto».

 

Il suo sciopero della fame sembrò ad alcuni una burletta.

 

«Venti giorni, dal 28 giugno al 18 luglio. Dopo tre giorni non senti più la fame. Arturo Scotto di Sel mi dice: “È ridicolo fare lo sciopero della fame contro il tuo governo. Perché non ti dimetti?”. Ma io non lo facevo contro il governo, volevo smuovere le coscienze. Dovevo finire in ospedale, ero sicuro che una volta ricoverato sarebbe successo qualcosa».

 

Smise solo per la promessa di Renzi.

 

«Mi telefonò: “Se non mangi ti spezzo le gambe”. Promise pubblicamente la legge. Mi fidai. Ho fatto bene. Adesso siamo come gli altri, costruiremo delle famiglie uguali alle altre».

Ma l’intervista di Repubblica ha anche lati molto privati della vita di Scalfarotto. Un ricordo commosso e sorridente del padre, presidente del circolo foggiano di Agedo, l’associazione dei genitori di figli gay, ora intitolato a lui. O i talk e i dibattiti con esponenti del family day o di Manif pour tous. “Se il criterio è quello dell’amore, allora vale anche il matrimonio con il cane, disse uno di loro in un liceo romano. Mi alzai di scatto: il mio Federico non è un cane. Ma rimasi, però mi fu chiaro il meccanismo e ho detto basta a un aberrante par condicio. Non si mette sullo stesso piano chi chiede più diritti e chi li vuole negare. Come se accanto a un ebreo si dovesse mettere sempre un nazista o accanto a un nero un membro del Ku Klux Klan”. E non nasconde la discriminazione subita persino nel suo partito, dall’ultracattolico Lepri, che al comitato paritario lo mise alla porta “siamo già al completo. Ti accompagno alla porta”. Per Scalfarotto, insomma, questa non è solo una vittoria politica, ma soprattutto umana.

(Foto di copertina: ANSA / GIUSEPPE LAMI)

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