Virtus Roma in tre anni dalla finale scudetto ai play out di A2. La storia del dramma del basket romano ad opera di Claudio Toti

“Andiamo a vedere i playoff di basket al Palatiziano sabato sera?” – “Ah si bello, andiamo a vedere la Virtus Roma!”.

No la vera narrazione è un’altra. Domani sera al Palatiziano si giocheranno i playoff di serie B, dove l’Eurobasket, altra squadra di basket della Capitale, cerca la promozione, mentre la Virtus Roma, prima società di basket della Capitale, domenica pomeriggio disputerà gara-1 dei playout del primo turno.

La Virtus Roma, in tre anni è passata dalle stelle alle stalle. Ossia, da una finale scudetto, una qualificazione in Eurolega rifiutata per una più abbordabile economicamente Eurocup, ad una possibile retrocessione in serie B. Perché è questo che rischia la squadra capitolina.

Il bivio “prende forma” l’anno scorso a luglio, quando il presidente Toti decide di auto retrocedere il club in serie A-2. Scelta sofferta, probabilmente … Scelta non ponderata, superficiale, di istinto, chissà…

Pochi soldi dice patron Toti, nessuno in questi anni che lo ha mai veramente supportato. Ma poi i fatti dicono che quest’anno ha comprato tanti giocatori e ha anche cambiato l’allenatore in corsa. Forse, budget alla mano, alla fine si è speso tanto quanto le squadre che hanno lottato per salvarsi (riuscendoci) in serie A1.

Al Presidente va riconosciuto che dal 2001 ci ha messo soldi, passione, ha portato campioni. La sfortuna e la “cronaca” vogliono che nonostante tutto non abbia vinto nulla. Quindi è naturale e fisiologico che dopo 15 anni l’entusiasmo si affievolisca. Ma allora perché non vendere? Perché non farsi aiutare? Perché accanirsi? La società ha sempre sostenuto che nessuno in tutte queste stagioni abbia mai voluto comprare la Virtus, ma la narrazione dice che non c’è mai stato un serio appello a vendere. Nel basket il caso più clamoroso fu quello di Benetton, che quando decise di lasciare le redini della squadra di Treviso, “la mise in vendita” dalle colonne dei giornali in autunno.
A Roma questo non è mai avvenuto. Le sorti del club si sono sempre e solo discusse a fine giugno. Sempre poco tempo dunque, per ragionare, per trovare degli acquirenti, per fare dei progetti, per avere dei piani e più di un interlocutore. E deve far riflettere anche che un’altra realtà a Roma sta prendendo piede, che è appunto quella dell’Eurobasket che il presidente Buonamici in pochi anni sta portando a splendere.

In tutto questo scenario, a farne le spese è questo sport. E chi lo segue. Com’è prassi a Roma ci si divide tra “i veri” tifosi e quelli “occasionali”, ovviamente tutti proclamatisi per auto definizione. Tra chi non contesta mai, sempre e comunque, e chi stanco per non avallare la sopravvivenza dell’Acea smette di andare al Palazzetto. Insomma si litiga anche tra appassionati, tra tifosi.
Bisogna sostenere e seguire la squadra sempre oppure criticare, contestare una società che decide da sola, per sé, senza guardarsi intorno? Le squadre sono dei tifosi, della gente che paga il biglietto, degli appassionati, o solo dei proprietari che ci mettono i soldi? E’ meglio sopravvivere a tutti i costi, o invocare l’eutanasia?

Alla fine lo schema è quello del calcio. Lo stesso.

Però forse una riflessione in più la meriterebbe anche lo sfondo di tutta questa vicenda sportiva: Roma. Una città complessa. Dove tutti gli sport che non sono il calcio sono stati fagocitati, e anche lo stesso, non è più comunque competitivo. Sia a livello nazionale che a livello europeo.

Un caso? Una crisi globale?

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