Perché è stata scarcerata l’infermiera di Piombino

22/04/2016 di Redazione

Niente testimoni. Niente telecamere. Nessuna prova schiacciante. È per queste ragioni che il gip di Livorno ha ordinato la scarcerazione di Fausta Bonino, l’infermiera di Piombino accusata della morte di 13 pazienti nel reparto di rianimazione. Secondo l’accusa la donna, fermata tre settimane e mezzo fa (il 31 marzo) e poi condotta in carcere a Pisa, avrebbe causato i decessi attraverso l’iniezione di dosi eccessive di eparina. Ma il quadro indiziario non viene al momento ritenuto sufficiente. Ne parla Michele Bocci su Repubblica:

L’annullamento dell’ordinanza del gip fa pensare a una carenza del quadro indiziario, segnalata nel suo ricorso dall’avvocato dell’infermiera, Cesarina Barghini. La misura che ha portato all’arresto si regge sul dato cronologico, cioè sul fatto che Bonino fosse in reparto prima della morte delle tredici persone: è l’unica tra le sue colleghe ad essere stata di turno in orari compatibili con le iniezioni. E quando l’hanno trasferita, nell’ottobre 2015, non è deceduto più nessuno per emorragie. Solo indizi, insomma, nessuna prova. E nessun testimone ha visto Bonino iniettare l’eparina. L’unico ad averla osservata mentre faceva un’iniezione è il figlio della sola paziente che anche per l’accusa non è deceduta a causa dell’eparina. «Perché non sono state usate telecamere?», chiede il legale. Inoltre, ha segnalato la difesa, manca una perizia che spieghi come mai per certi pazienti la morte sarebbe arrivata poche ore dopo la fine del turno dell’accusata e per altri quando erano passati alcuni giorni. «Dipende dalla patologia del singolo malato», hanno spiegato gli investigatori, perché il medicinale agirebbe in tempi diversi a seconda dello stato di salute di chi lo riceve.

(Foto di copertina: ANSA / GABRIELE MASIERO)

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