Sinodo sulla Famiglia | Divorziati, Papa Francesco : sì alla comunione

Lo dichiara chiaramente il cardinale Cristoph Schoemborn, cardinale di Vienna e uno dei capifila del fronte “aperturista” ai due Sinodi straordinari sulla Famiglia, in conferenza stampa: “Amoris Laetitia mi dà moltissima gioia perché supera la distinzione artificiosa fra situazioni regolari e situazioni irregolari”. Nella lunga, corposa e, definita “rivoluzionaria”, esortazione apostolica che conclude il cammino del Sinodo sulla Famiglia, Papa Francesco accoglie moltissimi dei rilievi dei padri sinodali più interessati a far “progredire” la pastorale familiare sui temi della famiglia. Sì alla comunione verso i divorziati, sì ad un accompagnamento caso per caso.

“Abbiamo presentato un ideale del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito”, scandisce Schoemborn. L’esortazione apostolica è davvero in questo senso.

Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi»,le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi.

 

Perché, lo dice ancora il Papa nel quinto capitolo dell’Esortazione, davvero le situazioni dei divorziati risposati possono essere diverse.

I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione »

 

E ancora, supponiamo che un soggetto abbia fatto “grandi sforzi” per salvare il primo matrimonio. “Non esistono ricette semplici”, sottolinea Papa Francesco: e quei sacerdoti che hanno passato gli ultimi anni a ribadire “verità non negoziabili” devono raddrizzare la loro rotta.

Desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano… Inoltre, in ogni Paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali

 

Il sacerdote, caso per caso, in foro interno insomma, nel discernimento pieno con il fedele, e nell’accompagnamento pastorale, potrà – nel radicamento con la tradizione e col magistero e, sopratutto, nel rispetto dell’autorità del suo vescovo di riferimento, potrà riammettere il fedele divorziato e risposato ai sacramenti.

Caso per caso, insomma, le cosiddette “situazioni irregolari” possono essere smussate, ridiscusse, accompagnate. E certo non è possibile dire che ci siano persone che rimangono permanentemente in stato di peccato mortale.

C’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere « valori insiti nella norma morale » o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa

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