La minoranza Pd di Bersani e Speranza non segue D’Alema

11/03/2016 di Alberto Sofia

La vecchia Ditta dem non segue il lider Maximo. Non c’è spazio per la scissione evocata da Massimo D’Alema, né per un appoggio a candidati o liste alternative a quelle del Pd alle Elezioni 2016, nonostante l’ombra di Massimo Bray all’orizzonte delle Comunali per il Campidoglio. Se il disagio nei confronti di Matteo Renzi in casa Sinistra dem è comune, la riposta politica resta profondamente diversa. Perché la minoranza Pd di Pierluigi Bersani e del “candidato in pectore” del futuro congresso Roberto Speranza, riunita a Perugia in chiave ulivista contro quel Partito della Nazione che per D’Alema è già nei fatti, prende le distanze dalla linea evocata dall’ex premier.

Guarda l’intervista Speranza: «Giachetti-Bray? Noi votiamo il candidato con il simbolo Pd» | VIDEO

SPERANZA E BERSANI NON SEGUONO LA LINEA D’ALEMA

Certo, nessuno si azzarda – almeno pubblicamente – a bacchettare le uscite di D’Alema, che si era spinto fino a non escludere un’eventuale scissione a sinistra, bocciando pure la candidatura di Roberto Giachetti per la Capitale. Ma la strategia è opposta, né le bordate dello storico dirigente sembrano scaldare: «Sbagliate le parole di D’Alema? Lui, si sa, è frizzante. Ma la nostra sfida è cambiare il partito», replica lo stesso Speranza ai microfoni di Giornalettismo Tv. «Il Pd è in mano a una classe dirigente di arroganti, come dice D’Alema? Lei chieda a lui, mi sembra un gioco più interessante e costruttivo», si schermisce il senatore Miguel Gotor.

Nemmeno Bersani ha voglia di parlare del “convitato di pietra” D’Alema di fronte alle telecamere. Chiaro che nessuno intenda alimentare tensioni e divisioni pure a sinistra, considerato già il clima rovente al Nazareno. Anche perché, in fondo, quel malessere evocato da D’Alema è condiviso. Ma non i toni, né la soluzione proposta. Valgono le parole ripetute dal palco della kermesse perugina di Sinistra Riformista a San Martino in Campo, in quella stessa location dove il padre dell’Ulivo Romano Prodi riunì il governo de L’Unione. «Questa è casa nostra, noi siamo il Pd. L’alternativa va costruita dentro il partito», è il messaggio lanciato e ripetuto come un mantra dallo stesso ex capogruppo alla Camera. Un avvertimento diretto sia verso il segretario-premier, sia verso chi, come D’Alema, coltiva o quantomeno non esclude tentazioni scissioniste che i bersaniani considerano velleitarie. «Ma può mai esistere un centrosinistra di governo se si da per perso il Pd? No, può esistere soltanto una sinistra di testimonianza. Cosa nobile. Ma a noi riformisti non può bastare», chiarisce senza mezzi termini Bersani dal palco della convention.

Bersani e la stoccata a L’Unità: “Non parliamo poi del giornale di Gramsci” | VIDEO

LA MINORANZA PD NON RACCOGLIE LE TENTAZIONI DALEMIANE

Tradotto, tutti in casa bersaniana lo ripetono: la minoranza non si smuoverà dal Pd. Tanto che la “guerriglia” prospettata da D’Alema, atteso sabato alla kermesse della minoranza, cade nel vuoto: «Beh, in fondo le sue dichiarazioni non sono nuove, lo conosciamo. Ma diciamo la verità: ormai D’Alema chi rappresenta? Che seguito ha?», c’è chi azzarda tra la minoranza bersaniana a microfoni spenti.  «Condivido quei toni? Ha espresso giudizi dal suo punto di vista duri, ha fatto un ragionamento profondo. Alcune cose sono condivisibili, altre meno. Ma va rispettata la sua opinione», si limita a replicare il fedelissimo della Ditta Nico Stumpo. Ma è chiaro che le ricette di D’Alema e della minoranza bersaniana siano ben differenti. Non solo sul futuro del partito, ma anche in vista di quelle elezioni Amministrative per le quali D’Alema trama nell’ombra, mentre Speranza e Bersani promettono lealtà: «Noi votiamo i candidati dove c’è il simbolo Pd», chiude la partita Speranza.

Ovvero, fedeltà a Giachetti a Roma. Lo stesso ex radicale tratteggiato in modo sprezzante dal “lider Maximo”: «Giachetti che traina Renzi sul risciò? Non può essere l’immagine di Roma neanche per scherzo», aveva provocato. Ma la minoranza dem non ci sta. Anche se Bray scendesse in campo – tutt’altro che scontato, considerati i tentennamenti e le esitazioni dell’ex ministro – la partita non cambierà. «Io rimango nella logica di partito e sostengo Giachetti», spiega a Giornalettismo anche il senatore Federico Fornaro. Pur avvertendo: «Il Pd è casa nostra e noi al Pd ci teniamo. Così come teniamo a vincere le amministrative e le politiche. Ma chi nega il disagio rende un cattivo servizio al Pd e al Paese». Perché le ferite delle primarie napoletane, con l’ombra dei brogli e il ricorso di Bassolino nemmeno preso in considerazione, sono ancora aperte. Non è un caso che lo stesso Bersani abbia attaccato dal palco quei vertici – Orfini e Guerini, pur senza nominarli – che avevano già blindato il verdetto prima che il comitato dei Garanti si esprimesse.

MINORANZA PD: L’INVESTITURA DI ROBERTO SPERANZA, “CANDIDATO IN PECTORE” PER IL CONGRESSO

«Il clima è pessimo, non lo neghiamo», ammettono in casa bersaniana. Ma in attesa di una Direzione che rischia di trasformarsi in un redde rationem, lì dove Renzi con la sua maggioranza bulgara vuole mettere alle strette la minoranza, Bersani, Speranza e i suoi respingono al mittente l’accusa di voler sabotare i candidati renziani alle Comunali. Allo stesso modo come allontanano lo strappo interno. Altro che scissione. Bersani e Speranza hanno un obiettivo chiaro: riprendersi la leadership e le redini del partito. Non è un caso che che l’ex segretario, nonostante la chiusura di Renzi, abbia rilanciato il tema del Congresso, così come rievocato l’ombra pesante dell’abbraccio di Denis Verdini e dei transfughi di centrodestra al governo Renzi: «Lì vorremmo discutere del tema politico: dove andiamo, con chi stiamo? Stiamo costruendo il centrosinistra o ne stiamo uscendo? Poi c’è il tema del partito, per il quale registriamo un deperimento. Si verticalizza non in linee orizzontali di partecipazione, ma in linee verticali di comando» , è la stoccata dell’ex segretario. Dietro di lui, in primo piano ci sono bandiere e simboli del Pd . Anche per evidenziare, simbolicamente, che la partita resta soltanto interna al partito. «Al massimo è Renzi con la dirigenza leopoldina a lavorare in un’altra direzione», c’è chi provoca a microfoni spenti. Quel che appare una certezza è invece la candidatura in fieri del delfino bersaniano: «Roberto Speranza? Lui è un fuoriclasse», lo esalta di fronte ai cronisti Bersani. Ma il diretto interessato per ora non scioglie la riserva: «Le candidature personali le valutiamo con calma. Noi proponiamo un progetto alternativo, che parta dai valori di fondo. Così un partito si arricchisce», replica. Ma è solo una questione di tempo. Perché l’investitura potrebbe già arrivare domenica, nel discorso finale della tre giorni perugina della minoranza Pd. L’inizio della sfida alla segreteria renziana.

Share this article