Isis in Libia, ecco a Roma la War Room della coalizione

Fermare l’Isis in Libia è uno degli impegni che la comunità internazionale ha intenzione di prendere più sul serio: la presenza delle forze del Califfato sulla sponda sud del Mediterraneo, per di più in uno “stato fallito” come è la Libia del post-Gheddafi, pone un problema davvero insostenibile all’Occidente che ha tutta l’intenzione di affrontarlo. In una missione, in un impegno militare – o meglio, paramilitare – a guida italiana: e si è già insediata a Roma la War Room, una sorta di Pentagono nostrano, che coordinerà le attività della coalizione verso la Libia, con la giusta dose di trasparenza e, sopratutto, di segretezza.

ISIS IN LIBIA, ECCO A ROMA LA WAR ROOM DELLA COALIZIONE

La Stampa spiega che, comunque, qualsiasi intervento occidentale in Libia passa da una richiesta ufficiale del governo libico, che per ora, come è noto, manca.

Anche la road map politico diplomatica che porterà all’intervento è nota: prima si deve insediare un governo sotto l’ala delle Nazioni Unite, che però tarda a vedere la luce, dopodiché Tripoli dovrà chiedere assistenza militare, e a quel punto si partirà. Per Gentiloni, questi passaggi non si possono saltare. «La comunità internazionale è pronta a intervenire, ma solo di fronte ad una richiesta del governo libico. Questa la condizione. Non mi farei troppo influenzare da fremiti e tamburi interventisti»

 

Come dicevamo, a Roma è già operativo il Coalition Coordination Center.

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È già operativo a Roma un Coalition Coordination Center, in sigla CCC, un comitato di coordinamento della coalizione che combatte l’Isis. Il CCC è una «war room» in piena regola dove si pianifica l’intervento, dove si fanno simulazioni, e da dove, in futuro, si guideranno le azioni. Il cervello delle operazioni è a Roma, dunque. Come confermava indirettamente il ministro statunitense della Difesa, Ash Carter, due giorni fa: «L’Italia, essendo così vicina, si è offerta di prendere la guida in Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza». Nel frattempo è giunta la conferma ufficiale del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: «Il livello di pianificazione e di coordinamento è a un livello molto avanzato e va avanti da parecchie settimane»

 

 

Come dicevamo, il livello di segretezza delle operazioni sarà molto alto. Anche se l’ipotesi dell’utilizzo di veri e propri soldati italiani è più che alto.

C’è da intendersi, però, su che cosa prevedono i piani d’intervento su cui si lavora nella «war room» a Roma. Di sicuro non ci sarà un’invasione della Libia, bensì una guerra segreta, affidata a reparti speciali – in stretto coordinamento con le milizie armate libiche a cui è demandato il lavoro sporco, ovvero la bonifica del loro Paese da foreign fighters e accoliti del Califfato – con l’appoggio di raid aerei occidentali. In questo senso, è più intelligibile l’accordo italo-statunitense del mese scorso sull’uso di droni armati di stanza a Sigonella, a protezione del personale militare schierato contro l’Isis. Personale statunitense, italiano e non solo. Della presenza sul campo di forze speciali americane, francesi e britanniche ci sono ormai fin troppe segnalazioni. L’Italia non schiera nessuno, salvo personale di intelligence. Le forze speciali degli eserciti Nato, però, sono straordinariamente amalgamate dopo la guerra di Afghanistan. E da qualche tempo, in vista delle operazioni libiche, hanno anche preso ad addestrarsi assieme in Italia.

 

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